Il corrosivo del 26 aprile 2011

 

      Nelle indagini su un fatto criminoso, segnatamente un omicidio, si decide tutto nelle fasi iniziali, quando gli investigatori non devono commettere errori e meno ne commettono più rimane alta la possibilità di ottenere un successo, riuscendo a dare risposte esaurienti a tutte gli interrogativi: il chi, il perché, il come e il quando. Gli errori possibili sono molti e la letteratura, quella criminale, non quella dei gialli di invenzione, li ha abbondantemente descritti. Il più grave di tutti è l’inquinamento della scena del crimine, che va preservata il più possibile e messa al riparo anche dall’intervento degli stessi inquirenti, che non possono fare a meno di irrompervi e modificarla in qualche modo. Non è errore meno grave il non leggere in modo adeguato tutto quello la scena del crimine può consentire di leggere e, se è vero che essa e perfino il cadavere della vittima di un omicidio “parlano”, è pur sempre difficile interpretare quel che dicono. A volte soltanto a distanza di anni si è capito ciò una scena del crimine diceva e che in un primo momento non era stato capito, ma quando è passato troppo tempo ciò che si capisce non ha la stessa rilevanza.

      Se si dice che un caso o viene risolto nelle prime quarantotto ore o diventa di soluzione sempre più difficile con il passare del tempo, è perché l’esperienza ha fatto emergere questo dato. Ci sono indagini che all’inizio sembrano facili e poi si complicano e si ingarbugliano, ce ne sono altre che sembrano all’inizio assai complesse e poi si risolvono. Si parla in questo caso di “svolta”. Quale sarà la svolta nelle indagini sul caso della donna assassinata a Ripe di Civitella?

 

      E’ vicina o è lontana? Da quale elemento di indagine potrà venire? Oggi le tecniche e le metodiche a disposizione di chi indaga sono molte, ma guai a ritenerle decisive senza riscontri basati su quelle tradizionali. Quando si dice che si indaga a 360 gradi, altro non si vuol dire che non si ha ancora una ipotesi investigativa e che gli indizi non consentono di formularne una. E solitamente è il quadro che risulta da investigazioni tradizionali che permette di imboccare una pista, che poi deve essere seguita con metodiche diventate sempre più raffinate.

Il filtro che c’è tra gli ambienti investigativi e quelli giornalistici può essere più o meno spesso e trasparente. Quando gli inquirenti dicono troppo o troppo poco o i giornalisti sanno delle indagini o troppo o troppo poco, si ha una specie di inquinamento probatorio, che poi viene amplificato. I giornalisti che hanno carenza di informazioni sono indotti a formulare ipotesi, spesso campate in aria, e alla lunga a trasformarsi in investigatori dilettanti. Quelli che ricevono troppe informazioni, magari perché ricetto preferenziale di confidenze investigative, possono accontentare l’opinione pubblica e i lettori, ma rischiano di indebolire la ricerca di una verità giudiziale e perfino di favorire i sospettati, i quali dalla informazioni ricevute possono essere indotti a questa o a questa azione difensiva.

     Ci sono degli elementi criminologici che, trattati sulla stampa, inducono a generalizzazioni ingiustificate o a conclusioni affrettate. Le cronache giornalistiche di delitti efferati i cui responsabili sono stati individuati, processati e condannati sono piene di affermazioni rivelatesi a posteriori delle enorme sciocchezze, ma anche di brillanti intuizioni iniziali confermatesi poi, in seguito, come terreno probatorio assai fertile.

In questo caso di Ripe di Civitella, o delle Casermette, ci sono alcuni aspetti suggestivi che hanno fatto pensare ad un serial killer, per via di certe coincidenze, che possono essere ritenute solo tali, appunto coincidenze, ma anche qualche cosa di più. Però ci sono anche delle evenienze che rendono il caso individuale, e quindi caratterizzato da specificità attribuibili alla vittima e all’assassino. Le coincidenze sono molte e perfino più di quelle che sono state segnalate. E’ un fatto che nel teramano in abbiamo in due anni avuto tre omicidi e sempre intorno a Pasqua: Rossella Goffo, scomparsa, e forse uccisa nel maggio 2010, Adele Mazza, uccisa il giorno di Pasqua dell’anno scorso, e quest’ultimo di Melania Rea pochi giorni prima della Pasqua di quest’anno. Altre coincidenze, per il momento solo tali, sono il fatto che il marito di Melania frequentasse le Casermette come istruttore di tiro e il fatto che la vittima fosse stata oggetto di episodi di stalking, mentre la Goffo era stata lei stessa condannata per questo reato e che anche la Mazza ne fosse stata vittima da parte di chi tra qualche giorno sarà processato quale imputato del suo assassinio.

     Se siamo veramente a poche ore dalla soluzione del caso dell’omicidio delle Casermette lo sapremo presto. Ovviamente ciò è augurabile ed è anche assai probabile, essendo oggettivamente molti gli elementi di cui gli inquirenti sembra siano in possesso, soprattutto se, come si legge, la rosa dei sospettati è assai ristretta. Ma è augurabile anche che in questo caso le prove risultino schiaccianti, e non solo probabili, come nell’omicidio Mazza, o inesistenti, come nell’omicidio Masi, o fluttuanti ed incerte come nell’omicidio Goffo. Il fatto che ad indagare siano due procure, quella di Teramo e quella di Ascoli, e che a lungo sia rimasta incerta la competenza territoriale, come succede quando non sé certi in quale distretto giudiziario sia avvenuto il delitto principale, l’omicidio, rispetto a quello minore, l’eventuale sequestro di persona, non un elemento di per sé favorevole alla soluzione definitiva del caso.

     Quando sono due procure ad indagare, per non accertata competenza territoriale, quasi sempre gli sforzi e le possibilità di successo non si sommano, ma si sottraggono, così come quando ad investigare su un caso sono contemporaneamente polizia e carabinieri, in una competizione che quasi mai dà buoni frutti, ma, al contrario, ce ne dà qualcuno avvelenato.