Il corrosivo del 19 aprile 2011

 

     Mi piacerebbe, e non è detto che non lo faccia, partecipare all’ampio dibattito attualmente in corso tra psicologi e fisiologi sulla fenomenologia della risata, argomento attorno al quale si discute con grande fermento. Si succedono sempre nuove teorie relative alle conseguenze dell’umorismo sui più disparati aspetti della vita. A me piacerebbe, però, dare il mio contributo alla ricerca e alla successiva discussione su un aspetto particolare, quello che riguarda la risata nella vita politica. L tema è stato rilanciato, e se ne vedono ampi rimandi anche sulla rete, dalla tendenza del nostro premier a raccontare barzellette e dei suoi compiacenti e interessati ascoltatori a ridere sempre e comunque, anche di fronte a barzellette oscene in sedi istituzionali, becere e di cattive gusto.

     L’argomento rientra nel quadro della necessità di ridere alla barzellette del capo, anche quando non le si capisce o non le si gradisce, perché in ogni caso non è bene farsi scoprire fuori del coro, perché non sta bene e non contribuisce a fare carriera politica. Ecco allora larghi sorrisi, ampia esposizione di denti e arcate dentarie, grasse risate e gare a chi le mostra più divertite e salaci. Non mancano colpetti di gomito al vicino, per trasmettere anche agli altri la propria divertita ilarità. Il fenomeno non riguarda solo il capo dei capi, cioè il premier, ma qualunque ufficio in cui ci sia un capo a cui piace raccontare barzellette, che sono molti, e impiegati, subordinati e affini interessati a mostrare servile compiacenza, che sono moltissimi.

 

      Quando mi trovo di fronte a questi comportamenti, sia di persona che come telespettatore, mi  diverto molto ad osservare attentamente le facce e le espressioni di questi appartenenti alla specie “jena ridens”. Voglio scrutare se, per caso, affiori, sotto sotto, la consapevolezza della finzione o se si riesca a tenere ben nascosto qualche altro sentimento, di fastidio, di noia o d’indifferenza. Devo dire che mai, o quasi mai, noto segni di duplicità. L’adesione all’ilarità generale è sempre ben messa in mostra, senza lasciar filtrare il benché minimo segno di contrarietà.

Osservate anche voi la platea di personaggi ridenti e plaudenti alle esibizioni barzellettiere del premier, uomini e donne, in un clima di “machismo” da caserma (perché per lo più le barzellette riguardano temi sessuali e maschilisti). Osservate anche voi quegli occhi sbarrati, tesi a mostrare entusiasmo, quelle bocche spalancate e quelle mani che applaudono freneticamente, in una gara a chi le schiocca più forti.

     Ma c’è un altro aspetto interessante, che è l’esatto contrario di questa tendenza all’ilarità. Quando in televisione, o a teatro, c’è qualcuno che fa satira o mostra vignette sul capo, mettendone in risalto, con l’esagerazione della satira, elementi comici o divertenti, i sottoposti del capo (suoi subordinati politici o inseriti da lui a libro paga), hanno espressioni facciali improntate alla più grande serietà, come se avessero ricevuto o stessero ricevendo la più brutta notizia riguardo se stessi, i propri familiari e congiunti, o sulle sorti dell’universo. Tendono a mostrarsi così contriti, e alcuni perfino così schifati che arrivano al punto di storcere la bocca per il disgusto, perché mai potrebbero farsi vedere dal capo con negli occhi il più pallido segno di divertimento e di compiacenza. E’ come se dicessero, con quelle espressioni: “Vedi quanto rimango indifferente, o indignato, di fronte a questa battuta satirica che Ti riguarda?”. E questo anche in presenza di battute o vignette oggettivamente irresistibili per “vis comica”, che potrebbero e dovrebbero risultare divertenti a chiunque avesse un minimo di autoironia.

     C’è ancora un altro aspetto da segnalare: l’espressione ilare, irridente, con la tipica piegatura delle labbra e il sorriso strafottente con la quale è bene reagire quando qualche avversario espone le sue posizioni politiche. Si conta in questo caso sulla tecnica di ripresa televisiva che, per creare il contrappunto, si basa sulla ripresa della persona che espone le sue tesi a mezzo busto e sulla ripresa di chi le ascolta con atteggiamento irridente in primo piano, sì da contrappuntare un’azione e una reazione e sottolineare la reazione. Attenti: a seconda di come si dosa questo contrappunto si riesce a dare al telespettatore la sensazione che sia più importante e condivisibile la seconda rispetto alla prima e viceversa. Alla maggioranza dei telespettatori sfugge questo uso tecnico e quasi scientifico mediato direttamente dalle conoscenze che si hanno in tema di propaganda politica e di metodiche di rappresentazione figurativa mediante il mezzo televisivo.

     Dunque, sarebbero molti gli aspetti che mi piacerebbe studiare, in dettaglio, se decidessi di dare un mio contributo a questo studio di fenomenologia della risata, memore della celebre battuta “Una risata ci seppellirà”. Ma prima di farlo, credo che attenderò gli ulteriori sviluppi di questa tendenza che si va generalizzando sempre di più, perché sono convinto che ne avremo degli altri e molto interessanti. Già ne intravedo alcuni che sfiorano il paradosso in alcuni interventi pubblici del capo dei capi i piani tendono a incrociarsi, senza che si riesca più a stabilire facilmente se quello che viene detto (magari che nelle procure ci sono le bierre) sia un argomento politico o una barzelletta o se la barzelletta che viene raccontata (per esempio che ad una ragazza minorenne si danno quarantamila euro o più per non farla prostituire) sia non una barzelletta ma una tesi politica.

     Questo fare di una barzelletta un discorso politico e di un discorso politico una barzelletta è una novità di rilievo, che occorrerà studiare approfonditamente, per scrivere un altro importante capitolo del “Manuale di fenomenologia della risata”.