Il corrosivo del 12 aprile 2011

 

Giustifico, ovviamente, nell’ordine, il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, ministri e sottosegretari di Stato; giustifico i parlamentari, deputati e senatori, e perfino i loro portaborse, così pesantemente impegnati nell’espletamento della loro funzione; giustifico pienamente il Governatore della Regione e gli assessori regionali. In un gesto di generosità, giustifico anche i consiglieri regionali, che hanno il difficile compito di dimostrare di meritare, con il loro lavoro, i più di undicimila euro al mese che guadagnano. Giustifico, anche se solo al 50% e qualcosa di più, i sindaci delle città capoluogo (come Teramo) e il Presidente della Provincia; giustifico, anche se solo al 50% e qualcosa di meno, i sindaci delle cittadine importanti (come Giulianova, Roseto, Atri); giustifico, anche se molto meno che al 50% i sindaci delle città medie e piccole, che certamente non sono impegnati tutti i giorni e a tutte le ore nell’amministrazione della cosa pubblica.

     Li giustifico per la loro assenza ad eventi culturali organizzati sul territorio dalle loro comunità, quali presentazioni di libri e letture di poesie, inaugurazioni di mostre di pittura o di scultura non organizzate da finti mecenati e veri detentori del potere economico e bancario (perché a quelle vanno alquanto volentieri), commemorazioni di artisti e di poeti. Li giustifico e credo che veramente le loro stesse giustificazioni possano essere prese sul serio. Davvero è possibile che proprio in quelle ore abbiano altre chiamate, abbiano altro di assai più importante da fare, siano impediti dal partecipare a causa di “improrogabili impegni assunti in precedenza”. Lo credo, debbo crederlo, voglio crederlo.

 

      Quelli che non giustifico, non riesco proprio a giustificarli, sono quei tanti assessoretti, assessorini e assessorucoli, di comuni grandi, medi e piccoli, o di una provincia media come la nostra, i quali si presentano all’inizio dell’evento, al quale sono stati invitati ufficialmente i loro sindaci, in rappresentanza dei loro sindaci o del loro presidente di provincia, portano in loro nome i saluti, che sono sempre calorosi e pieni di rammarico per l’espresso impedimento a partecipare, e poi, invece di rimanere a seguire almeno una parte della serata, se ne vanno subito, non vedendo l’ora di farlo, perché dicono di essere presi anche loro chissà da quali improrogabili impegni. Verso i quali corrono, affrettandosi a farlo, con l’aria di chi deve risolvere problemi di grandissima urgenza, mostrando il loro rammarico per l’impossibilità a restare, cosa che, dicono, farebbero assai volentieri se, appunto, non ci fossero quei loro impegni, di così drammatica urgenza.

     Diciamo la verità. Quegli assessorini, assessoretti e assessorucoli, non hanno niente di più e i meglio e di più importante da fare. Non ne hanno mai. E’ che, se restassero, si annoierebbero a morte, forse non capirebbero nemmeno quello che viene detto, non avendo alcuna competenza e nessun interesse, forse nemmeno la preparazione e l’intelligenza per comprendere. Sarebbero costretti ad una fatica enorme per evitare di sbadigliare e non amano essere visti mentre sbadigliano. Sarebbero costretti a fingere di avere nei loro occhi un barlume di intelligenza, che invece non hanno. A mostrare un interesse, che non hanno e non hanno mai avuto, verso qualcosa, come la cultura, che non paga in termini di voti e di consensi, perché ormai non c’è più trippa per gatti, le casse degli enti sono vuoti e non c’è più alcuna possibilità di erogare, ed elargire, quei bei finanziamenti a pioggia di una volta, che consentivano di premiare gli amici della parrocchietta senza stare a sottilizzare sulla differenza tra un evento culturale di grande importanza e la serata organizzata dalla bocciofila di quartiere, essendo ogni elargizione qualificabile, genericamente, come “contributo alla cultura”.

     Non giustifico, non riesco a giustificarli, questi mentecatti, portatori di saluti altrui, che si assentano dopo aver portato i saluti degli assenti, e con il telefonino incollato all’orecchio si allontanano in gran fretta verso chissà quale alibi (termine latino che significa “altrove”), presi da chissà quale urgenza, tutti assorti e indaffarati, con le ciglia aggrottate, con lo sguardo pieno di rammarico per non avere il tempo di fermarsi di più, nemmeno per ascoltare metà dell’intervento del primo relatore.

Mi ricordano un professore che gli alunni avevano soprannominato “Cice”, che era la contrazione, o l’abbreviazione, di Cicerone. Lo chiamavano così perché il docente era solito interrompere la sua lezione, all’improvviso, non appena suonava la campanella della fine dell’ora e una volta che stava pronunciando il nome del celebre oratore latino: Cicerone, la campanella aveva suonato subito dopo che lui aveva detto: Cice… e non aveva proseguito.

     Bene, questi assessorini e asserucoli, portatori di saluti altrui, che diventano assenti subito dopo aver portato il saluto degli assenti, sono peggio di Cice… li potremmo soprannominare “Ci”, nemmeno “Cice”, perché, se fosse per loro, si fermerebbero dopo aver pronunciato la prima sillaba. Ma anche soprannominarli “Vi porto i saluti di… e me ne vado” non sarebbe male, oppure “Sarò breve”, perché è così che cominciano, prendendo la parola per portare i saluti del sindaco o del presidente della Provincia, impegnati altrove, proprio come loro subito dopo essere stati “brevi” e aver preso il volo, lasciando la sala con il telefonino incollato all’orecchio.