Il corrosivo del 29 marzo 2011

    

    

    

     Non riesco a immaginare con certezza quale possa essere stata la reazione del Governatore dell’Abruzzo nel sentire che in una riunione teramana del neo partito di Fini era stato evocato il momento in cui Silvio Berlusconi aveva scelto lui come candidato al posto di Piccone: un momento da casting alla Grande Fratello o, peggio ancora, ispirato dal modello “Olgettina”, visto che, e non era la prima volta, veniva fatto presente che la scelta era stata determinata dall’essere stato individuato come “Gianni il bello”. Altro che “modello Teramo”, dunque, altro che curriculum prestigioso da sindaco meritevole di una città capoluogo. Secondo i finiani, e finiani che con lui avevano condiviso un lungo percorso nel governo regionale dell’Abruzzo, Gianni Chiodi fu scelto e preferito perché il suo “book” era più lusinghiero, forse perché il suo fotografo era stato più bravo di quello di Piccone. O forse perché, quando il Gran Capo lo aveva incontrato di persona, lo aveva trovato, appunto, “più bello”, dimostrando di saper essere grande estimatore non solo della bellezza muliebre, ma anche di quella maschile.

     Certo che  essere rappresentato così non deve aver fatto piacere al Governatore, essendo persona sensibile e attenta ai valori e al merito, giustamente fiera e orgogliosa del proprio e capace di riconoscere anche quello altrui, e, al tempo stesso, in grado di riconoscere i demeriti degli altri, anche quando con “gli altri” deve condividere un tratto di percorso politico. A suo tempo ho avuto modo di apprezzare personalmente Gianni Chiodi, e non perché fosse “Gianni il bello”. Lo avrei piuttosto definito “Gianni il Savio”, perché ebbi modo, prima che spiccasse il volo per L’Aquila, di conoscere la sua saggezza, la sua prudenza (in senso latino e quindi sinonimo di “saviezza”), la sua onestà intellettuale. E’ per questo che provo rabbia quando lo vedo, ogni giorno di più, nelle vesti di “Gianni l’ostaggio”.

 

      Solo l’ipotesi che sia un ostaggio mi consente di comprendere come “Gianni il Savio” che io conobbi accetti di operare o condividere scelte che non lo ritenevo capace di operare e di condividere. Da quando è diventato Governatore, è via via diventato irriconoscibile e irriconoscibile è diventata la sua politica. In ogni settore e in ogni campo si è comportato come il Gianni Chiodi che ho conosciuto non si sarebbe mai comportato. Ha subito una trasformazione penosa, che ogni giorno di più ce lo mostra prigioniero, ostaggio appunto, di forze più grandi di lui. Qualche tempo fa feci presente come nella gestione nel post-terremoto subisse in continuazione la presenza del Gran Capo, che riduceva la sua visibilità al punto che nei servizi televisivi di lui si vedeva soltanto mezza faccia, perché la telecamera era sempre puntata sul Presidente del Consiglio e lui, il Governatore della Regione, era ridotto al ruolo di comprimario, anzi di comparsa. Successivamente, le sue scelte lo hanno portato ad occupare stabilmente gli ultimi posti della classifica di gradimento dei Governatori di Regione. Ha accettato senza battere ciglio presenze inquietanti nella sua Giunta, ha premiato con un lauto guiderdone i suoi compagni di merenda dei tempi del liceo, ha istituito dei premi fedeltà e, quanto a nomine, ha mostrato di essere in balia di poteri forti, anche di ispirazione massonica, alle quali non è mai stato capace di opporsi.

     Come curatore fallimentare della sanità abruzzese, ha subito scelte altrui, e per forza scelte altrui devono essere state, perché per nulla in sintonia con i suoi orientamenti precedenti. Ha poi lasciato che altri, in suo nome e per suo conto, facessero scelte sbagliate, ispirate dalle vecchie logiche clientelari e partitiche. Ha giustificato l’ingiustificabile, ha scusato il non scusabile, ha interpretato l’ininterpretabile, ha accettato l’inaccettabile, ha dato l’impressione di essere sommerso da una canea urlante di personaggi che lo tirano per la giacca in continuazione e di non vedere quello che non può non vedere. Il giudizio politico su di lui è pesantemente negativo; qualsiasi sua intrapresa ha trovato un’infinità di ostacoli, dei quali si è sbarazzato solo quando altri lo hanno fatto per lui. Su alcuni temi a lui non personalmente chiari si è fatto imbeccare e imboccare, trasformandosi da “Gianni il bello” in “Gianni l’ingenuo”, come cominciò a fare quel giorno in cui “accettò di accettare” una telefonata da chi faceva finta di dirigere un partito e invece voleva soltanto dirigere, o cercare di farlo, la ricostruzione post-sisma.

     Ogni tanto “Gianni il teramano”, accusato dai suoi stessi assessori di essere teramano, anzi “troppo teramano”, torna a Teramo, in occasioni disparate, ma sempre da figurante, ora per aiutare a tagliare un nastro, ora per dire banalità in un convegno, ora per sostenere chi a suo tempo ha sostenuto politicamente lui. Ma, per accreditarsi nelle altre province, deve far finta di essere “poco teramano”, dopo esserlo stato veramente troppo nella scelta dei suoi assessori, dei suoi dirigenti e dei suoi collaboratori. Ma i teramani qualunque non hanno tratto alcun vantaggio da queste sue scelte teramane, perché i teramani che Gianni Chiodi ha scelto hanno pensato solo per sé e non per Teramo. “Gianni l’ostaggio” è riuscito a far escludere la propria regione dal novero di quelle (tutte le altre meno la Lombardia, ufficialmente è inclusa, ma praticamente esclusa anch’essa) che dovranno accettare i profughi del Maghreb, ma ha dovuto fare il primo della classe nel proporsi come disponibile all’insediamento di una centrale nucleare nella regione da lui governata.

     Non si intravedono spiragli di miglioramento e non spero più che Gianni Chiodi riesca a sfuggire ai lacci che lo tengono avvinto e alle pressioni che disegnano coartivamente il suo percorso politico e l’insieme delle sue decisioni. La sua condizione di “ostaggio” mi appare sempre più evidente. Se fino a poco tempo fa credevo che sarebbe stato possibile individuare una forma di pagamento di un suo riscatto, oggi non lo credo più. Sono preparato al peggio. So che tutto quello che Gianni Chiodi sa e sa fare non gli serve; so che tutto quello che può fare è poco; so che tutto quello che non può fare è molto. So che tutto quello che osa fare è “picciola cosa”; so che quello che non osa fare è grande quanto il mare. Deve avere imparato anche lui che “chi tocca i fili muore” e giustamente non vuole morire. Politicamente parlando. Chissà perché, invece, a me piace tanto il rischio di “toccare i fili”. So quanto costa, ma sono disposto a pagarne il prezzo.