Il corrosivo del  1° marzo 2011

    

         

       Che cosa ci aspettiamo da un amministratore di condominio? Ci aspettiamo che sia solerte ed efficiente. La solerzia consiste, da vocabolario, nella prontezza e scrupolosità nello svolgimento di un’attività; l’efficienza consiste, sempre da vocabolario, nella competenza e prontezza nell'assolvere le proprie mansioni e, nello svolgimento di un lavoro, nella capacità di raggiungere i risultati richiesti. Come si misurano la solerzia e l’efficienza di un amministratore di condominio? Con una scala di valori eminentemente pratica. Quando bisogna aggiustare il tetto, è in grado di ottenere una perizia dei lavori necessari?  Sa cosa fare per trovare la ditta che li esegua al meglio al minor prezzo possibile? Quando occorre ritinteggiare la parete esterna, o riparare un guasto all’ascensore, è in grado di affidare i lavori nel più breve tempo possibile, di controllarli e poi fornire all’assemblea condominale tutti i chiarimenti richiesti? E’ in grado di assicurarsi, senza ricorrere alle maniere forti, la disponibilità di tutti i condomini a versare le quote dovute, senza urtare la loro suscettibilità, peggiorando così la situazione? Questo ci attendiamo da un buon amministratore di condominio.

       Non vi sembra che dobbiamo aspettarci di più da un sindaco? O da un amministratore di provincia? O da un assessore? Una città non è un condominio e non lo è una provincia. Un sindaco deve avere qualità che vanno al di là di quelle che deve avere un buon amministratore di condominio.  L’amministrazione della cosa pubblica, anche se non prescinde da funzioni normali e necessarie, quali il tener dietro al buon funzionamento degli enti amministrati o il provvedere alle esigenze del traffico o il chiudere le buche sulle strade, richiede diverse e migliori qualità, prima fra tutte la lungimiranza, cioè, ancora da vocabolario, la capacità di

 

 prevedere per tempo ciò che potrebbe accadere e di adeguarvi con saggezza l'agire. Ma non è la sola qualità necessaria e tutte quelle che occorrono ad un buon amministratore, sindaco, presidente di provincia e assessore, hanno a che a fare non solo con la saggezza e con la prudenza, quest’ultima intesa non come cautela e come precauzione, ma in senso greco, come, ancora da vocabolario,  virtù cardinale consistente nel saper discernere il bene. Per fare bene l’amministratore pubblico occorre in sommo grado una qualità che non occorre all’amministratore di condominio: un buon livello culturale.

      La cultura richiesta non è quella che deriva dall’aver molto letto e imparato, o almeno non solo quello, ma un insieme di informazioni formative della personalità, di capacità ragionative che mettano nella condizione di cogliere la natura e la tendenza di una comunità o di una sua componente sociale, di interpretare la vocazione che deriva dall’insieme delle credenze, tradizioni, norme sociali, conoscenze pratiche, prodotti, propri di una popolazione in un determinato periodo storico. Orbene, vi pare che i nostri amministratori stiano dando prova di possedere il buon livello culturale necessario per guidarci lungo un percorso di crescita e di sviluppo, consapevoli di quale sia il punto di partenza e quale l’approdo verso cui ci si dirige? Io non credo. Devo dire piuttosto, e lo dico con rammarico e con rincrescimento, che i nostri sindaci, il nostro presidente della provincia, i nostri assessori, non lo posseggono. Tutt’al più mostrano di saper essere, quando lo mostrano, dei buoni amministratori di condominio. Molti di loro non sono nemmeno questo e anche come amministratori di condominio, il nostro condominio, si rivelano inadeguati, non mostrando né solerzia né efficienza, non rivelandosi capaci di saper chiudere le buche delle nostre strade (do a questa espressione la forza di un’immagine metaforica) né di saper far riparare un tetto (altra immagine metaforica).

      Recentemente il sindaco di Teramo Brucchi ha rilanciato l’idea chiodiana di un piano strategico per la città da lui amministrata (un capoluogo di provincia), un piano che sotto Chiodi puntava a una Teramo del 2020. Ma già con Chiodi quell’idea non conobbe altra realizzazione che un insieme di chiacchiere da convegno: parole in libertà, senza alcun risvolto pratico. Il rilancio che annuncia Brucchi ad un’idea astratta, ora che al 2020 siamo più vicini (mancano appena nove anni), si rivela ancora più pretenziosa e senza costrutto, perché non si capisce bene, e lui non lo ha spiegato, a che cosa dovrebbe portare se a non ad altre chiacchiere da convegno, senza la possibilità di derivarne una sintesi concreta in termini di progettualità della città. Quale sia la Teramo del 2020 verso cui ci si vuole muovere risulta un mistero, mentre sindaco e assessori continuano a veleggiare costa costa, senza una vera idea di città, senza un fondamento culturale, senza un ragionamento che non sia quello derivante dalla perpetuazione di un sistema clientelare e votato, appunto, al piccolo cabotaggio. L’opposizione interna allo schieramento brucchiano (o preferite il termine brucchico?), perché di quella esterna, dello schieramento di centro-sinistra non ne parliamo nemmeno per la sua conclamata inconsistenza, anch’essa si rivela incapace di volare alto e si limita a qualche presa di posizione dettata da motivazioni piccine, di natura rivendicativa in termini di rappresentanza partitocratica e correntizia. Teramo viene pensata ancora secondo principi che altrove gli amministratori più illuminati e più colti ritengono superati e non più proponibili: una città il cui unico sviluppo viene immaginato ancora in termini di consumo del territorio e di edificazione cementizia al servizio di interessi privati, non basato sul recupero dell’esistente e dell’utilizzo di risorse, anche culturali, disponibili ma di cui non si usufruisce per pigrizia mentale.

      Addirittura in provincia, un ente che andrebbe soppresso perché sarebbe assai più utile come fonte di benessere comune una sua soppressione piuttosto che un protratto e dannoso utilizzo, l’attuale giunta mostra ogni giorno di più il proprio corto respiro e la propria inadeguatezza culturale. Nei rispettivi settori sono impegnati amministratori che non hanno mai mostrato la propria competenza specifica, figuriamoci se possono rivelarsi in grado di avere una visione complessiva della provincia amministrata, di cui ignorano la storia, la struttura, i valori culturali, la natura. Da Catarra all’ultimo degli assessori sembrano quei ciechi che pretendono di fare da guida ad altri ciechi, quei muti che si ostinano a credere di essere capaci di parlare ai sordi. E noi? Noi siamo senza speranza, ormai. L’abbiamo perduta. Siamo condannati ad una disperata rassegnazione.