Il corrosivo del  1° febbraio 2011

    

       

      Nella prima parte della corrida, il “tercio de varas”, il toro, dopo essere uscito dalla porta del “toril”, si trova di fronte il torero, che ha in mano il “capote”, un grande drappo di tela irrigidita che viene sventolato per provocare le cariche del toro e ha un colore rosa acceso, ma appare rosso agli occhi degli spettatori. Molti dicono che, anche se fosse di un altro colore, provocherebbe ugualmente le cariche del toro, alle quali in realtà l’animale verrebbe indotto non tanto dal colore, quanto dal movimento del “capote”. Altri, e sono la maggioranza, dicono che è proprio quel colore, il rosso, che accresce a dismisura la furia del quadrupede, inducendolo a caricare.

   Nella terza parte della corrida (essendo la seconda quella riservata all’opera dei “banderilleros”, che conficcano sul dorso del toro le loro “banderillas” per fiaccarne la resistenza) il torero torna protagonista, impugnando una “muleta” (perciò questa fase si chiama “tercio de muleta”), che è un drappo più piccolo, di flanella di colore scarlatto, che viene nuovamente usata, con le sue movenze, per indurre il toro a caricare. Al di fuori della tauromachia, che è considerata dagli appassionati un’arte, quel rosa acceso del “capote” e quel colore scarlatto della “muleta” vengono comunemente chiamati “rosso” e si dice che il toro cari-

ca il torero perché odia proprio quel colore. Il torero, perciò, solo muovendo di qua e di là davanti al muso del toro quei drappi rossi, il “capote” e la “muleta”, induce il toro a caricare.  Quella del torero che sventola davanti al muso del toro quel simbolo rosso mi ha fatto sempre pensare, e mi fa pensare sempre di più, a chi si serve dello stesso colore, il rosso, per indurre gli elettori che odiano quel colore, a caricare a testa bassa chiunque viene solo sospettato di esserne amatore e sostiene le idee politiche che quel colore in politica simboleggia. La carica del toro è irrazionale, istintiva, fatta di rabbia e di rifiuto, di odio e di spirito di distruzione. Gli elettori che votano a favore di chiunque indichi un certo tipo di avversari additandoli come “rossi” si comportano allo stesso modo. Non ragionano, non pensano, non giudicano, non riflettono, non considerano le cose e negano perfino l’evidenza, credendo ciecamente alla versione dei fatti e alle proposte politiche di chiunque gli mette davanti uno straccio rosso ed è sicuro che lo caricheranno furiosamente. Nella comune simbologia politica il rosso è il colore dei comunisti e basta dire che qualcuno è comunista ed è “rosso” perché si trovi un esercito di gente pronta a caricare a testa bassa. Gli avversari da prendere a cornate sono i rossi, i comunisti, e chi la pensa diversamente è comunista e rosso; i magistrati che mettono sotto accusa politici presunti colpevoli di reati sono rossi; i giudici che li condannano sono rossi; gli intellettuali che professano certe idee sono rossi; i giornalisti che pensano liberamente con la propria testa sono rossi; gli artisti che esprimono con la loro arte non asservita al potere sono rossi; chi ha certe idee sulla religione e sul cattolicesimo è rosso ed è rosso anche chi non è disposto a caricare a testa bassa i rossi, ma a combatterli con altri metodi. Perciò via: tutti contro il rosso. Partono le crociate contro i rossi e tutti a testa bassa vanno alla carica. Anche dopo il fallimento del comunismo, nonostante che chi voglia rifondarlo non abbia più nemmeno un’idea valida su come farlo e perché farlo, c’è chi continua a gridare “dagli al comunista”, proprio come il torero che sventola la “muleta”. Ovviamente il torero lo fa perché il suo fine è quello di sfiancare il toro per meglio “matarlo”; chi “grida al comunista” lo fa perché vuole essere votato e vincere le elezioni.

      Nel corpo elettorale italiano mediamente coloro che odiano il rosso e lo caricano quando lo vedono corrispondono ad un 30% per cento. Costituiscono lo zoccolo duro di chi si serve di un anti-comunismo di facciata e di parata per propri fini politici. Chi agita lo spauracchio del pericolo rosso sa, come accadde nel 1948, che quel 30% accorrerà ad erigere la diga contro il nemico che avanza, anche a costo di votare a favore di una classe politica che porta la nazione al disastro. Nel 1994 ci fu da erigere un’altra diga e fu eretta e nelle elezioni successive se ne eressero altre, concedendo il potere ad una classe politica che ha portato la nazione non solo al disastro, ma allo sfacelo morale. Eppure non c’era effettivamente bisogno di erigere nemmeno uno steccato a difesa di un esercito nemico che non c’era, come non c’era nel “Deserto dei Tartari” di Dino Buzzati. Ancora oggi c’è chi, per proprie finalità ed utilità personali e di parte, continua a sventolare uno straccio rosso e quel 30% è pronto ancora una volta a chiudere gli occhi e a credere ciecamente a chiunque lo sventola proprio per provocare la sua furia irrazionale e iconoclasta.

      Non è che il comunismo non abbia prodotto tragedie, non è che sia stato sbagliato combatterlo e sperare che fosse sconfitto. E chi lo ha combattuto, “quorum ego”, ne ha subito le conseguenze. Le vittime di un’ideologia politica fattasi regime si contano a milioni. Ci sono molte ragioni, filosofiche, culturali, politiche, per essere stati anti-comunisti e per esserlo anche oggi, per averlo combattuto e per essere disposti a combatterlo nuovamente nel caso che ci fossero oggettive ragioni per temere un suo reale pericoloso avvento. Ma bisogna riconoscere che oggettivamente  prospettarlo oggi come un nemico reale è solo strumentale, oltre che mistificatorio. E’ mistificatorio perché purtroppo è avvenuto che il colore “rosso” è stato associato non solo al comunismo, ma anche al socialismo, trascurando colpevolmente il fatto, non proprio di secondaria importanza, che, se il comunismo è un socialismo, non ogni socialismo è comunismo. Si può essere socialisti senza essere comunisti e si può temere e combattere il comunismo senza per questo rinunciare a battersi per una società socialista. Per esempio, niente è più lontano, e avversario del comunismo, del socialismo nazionale, che non è rosso. Però qui i toreri (i politici in malafede) che usano per proprio tornaconto lo sventolio di un drappo che induce i tori (elettori in buona fede) a caricare a testa bassa uno straccio che viene sventolato, rovesciano i due termini e parlano non di “socialismo nazionale”, ma di “nazional-socialismo” e, sventolando un drappo nero, non rosso, continuano la loro perversa opera di demonizzazione e criminalizzazione degli avversari. Godendone pienamente i vantaggi.