Il corrosivo del  14 dicembre 2010

    

     Vengono chiamati “free press”, ma bisognerebbe chiamarli “gratis press”. Sono i periodici a distribuzione gratuita, lasciati nelle cassette postali a migliaia, insieme con i volantini pubblicitari degli ipermercati. Sono a periodicità varia: quotidiani, settimanali, quindicinali, mensili. I quotidiani vengono stampati e prodotti solo nelle grandi città e possono contare su numeri assai alti di lettori, più di un milione e mezzo al giorno in un giorno medio. Di quelli a periodicità non quotidiana  ne esistono anche nelle città più piccole e nella nostra, Teramo, ce ne sono un bel numero, addirittura sproporzionato rispetto al bacino naturale di raccolta pubblicitaria dal quale attingono le risorse per poter essere stampati e distribuiti, assolvendo alla loro funzione primaria, che è quella tipica dei veicoli pubblicitari. Ovviamente, trattandosi non di volantini pubblicitari, ma pur sempre di periodici di informazione, è assai importante, e non secondario, il contenuto degli articoli così come sono importanti la quantità e la qualità dell’informazione veicolata insieme con la pubblicità. In questi giorni ho analizzato numerosi dati, nazionali e internazionali, su questo tipo particolare e in crescente espansione di informazione che viene messa gratuitamente a disposizione del lettore e non proposta in edicola per una fruizione a pagamento e per libera scelta.

      Potrei ricavare dall’analisi di questi dati molte considerazioni e riflessioni, legate soprattutto ai numeri e alle tendenze in atto o in itinere, però qui ne voglio fare altre, non legate ai numeri, ma ad altre categorie di riferimento e cioè alla tipologia del prodotto in sé e alla diversificazione delle offerte. E dico subito che le mie considerazioni non sono basate su indagini di mercato o su interviste anche individuali tra i lettori dei periodici “gratis press”, ma su mie impressioni e su mie percezioni. In particolare, al centro porrò il rapporto fra i tre vertici di un triangolo: pubblicità, informazione, lettore. Si sa che i triangoli possono essere equilateri, isosceli, scaleni, se classificati in base alla lunghezza relativa dei lati, ma possono anche essere rettangoli, ottusangoli o acutangoli, se classificati in base alle dimensioni del loro angolo interno più ampio. Ci sono poi i triangoli degeneri e i triangoli ideali, classificati in base ad altri criteri di natura specificamente geometrica.

      Applicando tali classificazioni al triangolo che ho sopra richiamato, i cui tre vertici sono la pubblicità, l’informazione e il lettore, ma non sulla base di criteri tratti dalla geometria, mi porrò anche io alla ricerca dei caratteri tipologici che permettano di individuare, innanzitutto, un triangolo degenere e un triangolo ideale. Come deve essere questo triangolo particolare che è un settimanale “gratis press” per essere un triangolo (e quindi un periodico “gratis-press”) ideale? Deve essere un triangolo equilatero, cioè deve avere tutti e tre i lati di uguale lunghezza o rettangolo, cioè con tutti gli angoli interni di 90° gradi, con l’ipotenusa, cioè il lato più lungo, rappresentato dal lettore. Allontanandoci un po’ da una visione geometrica della questione, diciamo che un periodico “gratis press” ideale deve considerare come egualmente importanti la pubblicità veicolata, l’informazione fornita e l’interesse del lettore. Se si allunga il lato della pubblicità veicolata, si accorciano gli altri lati, quelli dell’informazione e dell’intesse del lettore. Se si allunga troppo il lato dell’informazione, magari tenendo abbastanza lungo l’interesse del lettore, i costi di stampa e di distribuzione del periodico crescono tanto da portare il prodotto a rapido deperimento, spesso a morte, a meno che non si riesca a stamparlo senza pagare i costi di stampa. E c’è chi riesce in questo miracolo economico, stampando ora qui ora lì e facendo il giro delle sette tipografie. Se si allunga troppo il lato dell’interesse del lettore, magari allungando il lato dell’informazione, si ottiene lo stesso risultato. Se si allunga troppo il lato della pubblicità, si accorciano conseguentemente i lati dell’informazione e e dell’interesse del lettore, che viene de-fidelizzato e scoraggiato, soprattutto in un quadro in cui sono tanti i periodici “free press” (come si chiamano loro) o “gratis press” (come li chiamo io) che si fanno concorrenza.

      Altre esemplificazioni possibili le lascio all’intelligenza del mio lettore. Così come la considerazione che riguarda la tipologia del “gratis press” (da adesso, riaffermato l’accostamento, non parlerò più di triangoli, ma solo di “gratis press”) degenere, che è il contrario di quello ideale, cioè un periodico nel quale la pubblicità sia così ridondante e preponderate da risultare poco accattivante e poco apprezzato dal lettore, che lo considera alla stregua di un depliant di “réclames” e finisce per lasciarlo senza nemmeno sfogliarlo nella sua cassetta della posta. Si capisce bene che ogni altra tipologia di prodotto che trascuri l’interesse del lettore è degenere di per sé, ma lo è anche ogni altra che non tenga conto degli altri due parametri: un sufficiente supporto pubblicitario, che consenta di sostenere i costi e di garantire un surplus di ricavi, e una sufficiente quantità di informazione fornita.  Si deve però considerare che non conta solo la quantità dell’informazione, ma anche la qualità e qui entrano in gioco tutti quegli elementi che qualificano l’informazione e la tengono distinta, per esempio, dalla comunicazione. In un “gratis press” non si deve, ad esempio, spacciare per informazione una comunicazione pubblicitaria e, quando si propone un redazionale a pagamento, si deve correttamente evidenziarlo come tale e non farlo passare per un articolo informativo. L’informazione deve essere critica, libera e indipendente, e non deve essere messa al servizio di eventuali referenti politici o piegata agli interessi degli inserzionisti pubblicitari. Grande importanza, ad esempio, ho sempre attribuito sia nel caso della stampa tradizionale, su carta o televisiva, e quindi ne attribuisco anche ai “gratis press”, al fatto che il ruolo di direttore, responsabile o editoriale o entrambi, non può essere rivestito dalla stessa persona che ha un ruolo di venditore di spazi pubblicitari, a causa di un evidente conflitto che espone ogni aspetto riguardante l’informazione alle pressioni del mercato pubblicitario, cosa che l’informazione, per essere libera, non può assolutamente permettersi.

      Faccio qui entrare in ballo, per passare dalla metafora dei triangoli a quella di un prodotto culinario o di un prodotto chimico o farmaceutico, il concetto di “q.b.”, vale a dire quanto basta. Se si prepara un piatto o un farmaco è assai importante il giusto equilibrio tra gli ingredienti, tanto delicato che spesso ci si affida non al loro peso o al loro rapporto, ma proprio al concetto di “quanto basta”. E’ questo concetto che difende dai pericoli di saturazione, di sbilanciamento e di squilibrio. Ogni buon cuoco conosce il “quanto basta” di sale e di pepe, di vino e di spezie, di sapori e odori, necessario e indispensabile perché ciò che si prepara in cucina risulti non salato e non insipido, non troppo leggero e non troppo pesante, gradevole e sgradevole al palato. Lo stesso vale per quei prodotti farmaceutici, eccipienti di vario tipo, che troviamo accompagnati sui dati illustrativi di un medicinale alla dicitura “q.b.”, cioè quanto basta. Ecco anche in un “free press” chi lo confezione e lo propone deve avere una analoga conoscenza e un analogo rispetto per il “quanto basta”, senza eccedere, ma anche senza “deficere”, nella quantità di pubblicità, nella quantità e nella qualità dell’informazione, nel rispetto per il lettore, nella scelta dell’impaginazione, della patinatura o dell’uso di carta riciclata, del formato e del numero delle pagine, della periodicità (orribile quella quindicinale, che ti costringe sempre a porti la domanda se quella è la settimana in cui esce o quella in cui non esce), in una parola nella gradevolezza del prodotto finale.        

       Siamo sicuri che in tutti i “gratis press” teramani chi li confeziona abbia contezza e rispetto del “quanto basta”? E siamo sicuri che tutti possano definirsi “free press”, tenendo conto che, in fondo, “free” significa “libero” e che quindi non dovrebbero essere solo gratis ma anche liberi e quindi garantire un’informazione libera? Io non solo non ne sono sicuro, ma ne dubito fortemente.