Il corrosivo del  30 novembre 2010

    

    Caro Fini, recentemente ti è stata indirizzata, e pubblicata su questo giornale, una lettera aperta da un tale che si definiva “orfano di An” e che in pratica, senza dirlo esplicitamente, ti dava del “traditore”, unendosi al coro di quanti lo fanno, a cominciare da Berlusconi, per esserti messo ad esprimere critiche a quello stesso PDL di cui sei stato cofondatore. Io ti scrivo questa lettera aperta non come “orfano di AN”, non essendo mai stato in AN e non sentendo di AN alcuna nostalgia, ma, se mai, come “orfano” del MSI, nel quale sono stato fin dall’età giovanile, uscendone ancor prima che tu ne decretassi la fine. L’orfano di AN parla dei tuoi mal di pancia, della tua plateale incoerenza, della tua inaffidabilità politica, del tuo venir meno agli impegni assunti e mostra di non condividere le critiche che rivolgi al PDL, al governo e alla politica di Berlusconi. Io invece le condivido, ma le ritengo assai tardive e giunte al termine di un percorso che ti ha visto confluire sotto le insegne di Berlusconi, contribuire ad edificare il suo strapotere e consolidarlo ulteriormente, votando tutta una serie di leggi ad personam e assumendo una lunga sequenza di posizioni politiche che nulla avevano a che vedere con la tradizione politica a cui AN diceva di ispirarsi anche dopo i lavacri di Fiuggi.            

    Provo fastidio nel sentire le accuse che ti fanno sia i servi del Padrone e i loro lacchè, sia quanti, in buona fede, travolti dalla propaganda massmediatica del Capo, le fanno proprie. Ma, proprio come “orfano del MSI”, non me la sento di respingere del tutto le accuse di “traditore”, anticipando però l’epoca dell’avvenuto tradimento. Tu non stai tradendo ora, uscendo dal PDL o essendone stato cacciato, e criticando le posizioni politiche che avevi condiviso e avallato fino all’ultimo momento; no, tu tradisti allora, quando svendesti tutto il patrimonio ideale e politico del MSI, rinnegandone il valore, e, senza alcun dibattito interno vero, decidesti di cancellarlo e di confluire, spinto dalla tua ambizione personale, in uno schieramento di centro-destra che si definiva tale, ma non era altro che la riproposizione di un fronte democristiano, ultraconservatore, tetragono ad ogni idea di rinnovamento sociale. Spegnesti, allora, tutti i fermenti giovanili che spingevano in direzione contraria, verso un ideale di costruzione di una nuova Italia, nella quale si affermasse non una visione thathceriana e ultra conservatrice della società, ma una visione incentrata sulla realizzazione di uno stato sociale, secondo l’ispirazione più autentica dell’allora partito di Almirante, che parlava di una nuova concezione del lavoro, del superamento della lotta di classe, della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese e alla suddivisione degli eventuali utili.

      Quando arrivasti tu nel MSI, ti avevo preceduto di qualche anno nella direzione nazionale giovanile e ricordo che si dibattevano vari temi:  fra i tanti c’era quello dell’urgenza dei temi ambientali e sociali; fra i tanti periodici ce n’era uno che si chiamava “Dissenso”; c’era un fiorire di iniziative che tendevano ad evitare che l’MSI finisse per diventare l’espressione di una destra ultraconservatrice e ultra reazionaria e facessero emergere, al contrario, una natura rivoluzionaria, beninteso in senso culturale e sociale. Erano posizioni di minoranza, d’accordo, espresse da chi, come me, faceva capo a Pino Rauti, diventate maggioranza solo quando Rauti vinse in un congresso e guidò l’MSI per una breve stagione. Ma il dissenso interno non era già più assicurato, tanto che io fui costretto ad uscire proprio perché rautiano e per le mie divergenti posizioni su temi di grande importanza, quali il divorzio e la pena di morte. Successivamente, finito il breve periodo rautiano, arrivasti tu al vertice del partito, solo perché designato come proprio erede da Almirante, la cui parola era allora “Verbo in terra” anche dopo la sua morte.

    Non eri il migliore, caro Fini, tra quanti potevano ambire a raccogliere quella pesante eredità e anche dopo non mostrasti di esserlo, ma eri certamente il più ambizioso e il più spregiudicato, come dimostrasti quando in quella botte che era l’eredità ideale di chi ti aveva preceduto e aveva combattuto in momenti drammatici per preservarla, custodita religiosamente nella propria cantina, cominciasti progressivamente e senza posa ad aggiungere acqua per sostituire il prezioso nettare che ogni tanto, aprendo la spina, sprecavi facendolo cadere a terra, senza nemmeno abbeverartene. In poco tempo il contenuto di quella botte diventò così annacquato che non conservava quasi più nulla dell’antico sapore e dell’antico vigore. Ciò che portasti nel palazzo dorato di Berlusconi, sperando di ottenere gloria e favori in cambio di quel tradimento non aveva quasi più nulla a che vedere con l’eredità che ti era stata lasciata. E il tuo tradimento continuò, quando rinnegasti le idee per le quali tanti giovani avevano combattuto, quando rinunciasti a difendere i principi per i quali si erano sacrificati, quando immolasti sull’altare del tuo servaggio al nuovo padrone, Silvio da Arcore, l’agnello sacrificale che era il nucleo fondamentale delle ispirazioni del MSI. Fu allora, mio caro, che tu tradisti, non oggi.

      L’orfano di AN che ti ha scritto dice che Berlusconi gli è sempre meno antipatico e che è uno che fa quello che dice, confermando quanto sia alto il coefficiente di “berlusconizzazione” degli ex di AN, sia di quelli che sono stati sempre e solo in AN e non anche nel MSI sia di quelli che sono passati in AN provenendo dal MSI. Non poteva essere diversamente, dopo anni di “democristianizzazione” che tanto pervicacemente hai condotto, confermando di essere anche ora, con il tuo comportamento equivoco e incoerente (lascio-non lascio, voto-non voto, fiducia-sfiducia, elezioni-non elezioni, stacco la spina-non la stacco) “l’ultimo dei democristiani”.