Il corrosivo del  26 ottobre 2010

      

        Di male in peggio. Alcune notizie relative ai primi movimenti sul territorio (si dice così, no?) del nuovo partito di Fini sono tali da risultare sconvolgenti. E lo sarebbero, se ormai non fossimo preparati a tutto. Detto in breve, sul nuovo partito stanno salendo personaggi che fanno rabbrividire. Non basta Catone, il cui nome tanto stride con l’altro Catone, quello che la storia romana ci ha tramandato come “l’uticense, e ancor più con quello che ci ha tramandato come “il censore”. Con il suo passato non certamente cristallino sul piano politico, bastava lui a far considerare con arricciamento del naso (quanto meno) la nascita del FLI in Abruzzo. Poi Catone si è presentato in giro, eletto come coordinatore regionale, insieme con Rocco Salini e qui… altro che arricciamento del naso! Il senatore di Montesecco (una volta Montefino si chiamava così) non ha escluso di poter entrare nella nuova formazione finiana.

        Ma Fini, intanto, che fa? E’ veramente così travolto dalla vicenda Montecarlo per non capire quello che, al di là delle sue buone intenzioni, stanno combinando i suoi uomini sul territorio nella formazione dei quadri dirigenziali del suo partito? Pensate che a Teramo si fa il nome di Albi, evidentemente predestinato a tornare a destra dopo essere stato a sinistra (e candidato sindaco) e ancor prima al centro con Chiodi e poi contro Chiodi e dopo essere stato a destra con i liberali e ancor prima con i monarchici.

        Ora davvero si capisce perché (e come abbia fatto bene) Giandonato Morra a restare dove sta, invece di passare anche lui con i finiani come per la sua storia politica forse sarebbe parso naturale. E si capisce quanto sia stato sfortunato Berardo Rabbuffo ad affrettarsi (magari nemmeno tanto) a passare con Fini, così come Castiglione, senza poi avere il coraggio di tornare indietro. Perché a fare il percorso a ritroso, come Castiglione, non tutti sono buoni: occorre pentirsi, dire che ci si è pentiti e avere sufficiente credibilità  per pretendere di essere creduti quando si accampano le ragioni del pentimento. E Castiglione credibile non lo è sempre, anzi, non lo è quasi mai. Insomma, tra un Salini e un Albi chissà quanti altri folcloristici personaggi (ormai sono quasi solo folcloristici) entreranno nel partito di Fini o graviteranno intorno.

        Lo spettacolo politico è sempre più penoso, come mostra e dimostra anche il vanto che si fa del “modello Teramo”. Che cosa sia questo modello ormai non lo spiega più nessuno. Se ne dà per scontata l’esistenza senza spiegarne la consistenza, nell’assordante silenzio della minoranza (ma non opposizione) di centro-sinistra, che va ancora dietro il miraggio del “modello Sperandio”. Pare che questo “modello Teramo” venga decantato perché è riuscito a riprodursi anche nella politica regionale, con l’avvento di Chiodi al ruolo di Governatore. Modello di che? Di un vivere civile, visto che a Teramo il grado di civiltà si sta abbassando, così come quello della convivenza civile? Modello di liberalità e di liberalismo, visto che a Teramo domina il potere di non più di quattro o cinque famiglie e soprattutto di una sola, che decide per tutti e considera tutti come semplici esecutori di ordini che vengono dall’altro? Modello di ambientalismo, visto che stiamo precipitando negli ultimi posti in questo settore? Modello di alto valore culturale, visto che culturalmente contiamo sempre di meno e produciamo sempre di meno e i giovani che producono cultura la stanno producendo fuori di Teramo, senza il supporto e l’apporto della politica, della società e dell’economia teramane? Modello di imprenditorialità economia, visto che la nostra economia brilla soltanto per la consistenza dei depositi bancari, che sono socialmente improduttivi? Modello di che? Modello di aspirazioni irrealizzate, dico io, perché finora abbiamo coniugato solo verbi al futuro e il vanto maggiore consiste nel pensare ad un piano strategico per la Teramo del 2020, mentre la Teramo del 2010 degrada e langue, sotto il peso della crisi economica e della disoccupazione.

         Il “modello Teramo”, purtroppo, è un modello solo di pochi e per pochi, che, parlando di questo modello e grazie al vanto che ne fanno (ah, la buona propaganda!), si stanno arricchendo o hanno consolidato il proprio potere, mentre una sola famiglia continua ad occupare quasi militarmente ogni ganglio del potere cittadino, da quello bancario a quello parlamentare, da quello culturale a quello economico e tra breve, stando a quanto si mormora, anche quello della gestione della sanità pubblica, preparandosi a gestire la nostra Asl con il tramonto dell’era Molinari.