Il corrosivo del  5 ottobre 2010

      

    

      Qualche giorno fa erano ospiti di una televisione locale, in una trasmissione di approfondimento politico, quattro esponenti di partito, due per ciascuno dei due schieramenti contrapposti: il centro sinistra e il centro destra. Mi è saltato subito agli occhi una particolarità: tutti e quattro gli ospiti erano stati democristiani e lo si vedeva bene che ancora lo erano, al di là delle contrapposizioni di facciata. Se il terzo polo fosse stato già costituito e fossero stati invitati alla trasmissione due suoi rappresentanti, secondo voi non avremmo avuto in studio altri due democristiani, per un totale di sei?

     La diaspora post-tangentopoli, lungi dall’indebolire la forza dei democristiani nella politica nazionale e locale, l’ha irrobustita e ha rafforzato la loro supremazia. Penso da tempo che “essere democristiano” sia una categoria dello spirito e che si fondi su una serie di connotazioni che rendono coloro nei quali quella categoria si è inverata fondamentalmente uguali. Si tratta, infatti, di caratteristiche comuni, di tendenze, di orientamenti generali che resistono immutate e immutabili, sia che il portatore militi a destra sia che militi a sinistra sia che, come spesso fanno i democristiani, ondivagando, si spostano dall’uno all’altro schieramento, non necessariamente passando per il centro e con frequenti retromarce.  

     Quali sono questi caratteri comuni? Li studio da tempo e un giorno o l’altro finirò per fare qualche analisi approfondita della “fenomenologia dell’essere democristiano” e magari darla alle stampe. Qui mi limiterò a qualche indicazione di massima. Il “democristiano” in politica si trascina dietro il suo credo religioso e ne fa uno scudo, crociato ovviamente, del quale si avvale come ci si avvale, appunto, di uno scudo, per difendersi dagli attacchi e per andare all’attacco protetto. Dietro lo scudo nasconde, con ipocrisia, la propria vera natura, molto spesso fondata su disvalori, davanti alla scudo pone in bella evidenza, ipocritamente, tutti i valori positivi che dice di derivare e trarre dalla religione che professa: l’amore per la famiglia, quello per il prossimo, lo spirito di sacrificio, l’abnegazione, l’altruismo, l’interesse per il bene comune. Portatore di una doppia morale, finge di essere quello che non è, esibisce la sua fede e la frequentazione delle chiese, ma in politica si comporta come un lupo tra i lupi, pronto ad attaccare, l’amore per la famiglia diventa familismo, pratica il clientelismo organizzato, chiede voti e vende favori come la Chiesa ha fatto nei secoli bui in cui praticava la simonia e vendeva le indulgenze.

      Il democristiano in politica è pronto a qualsiasi compromesso, a mancare cento volte al giorno alla parola data, confonde il reato con il peccato e ritiene che basti confessare entrambi per essere sia perdonati che assolti. Ritiene che ciò che deriva dalla morale cattolica debba valere per tutti e diventare legge di stato, non riconosce ai laici e agli agnostici diritto di asilo e li vuole asserviti alle stesse regole e agli stessi comandamenti, sia in privato che in pubblico. Respinge il dettato cavouriano di “libera Chiesa in libero Stato” e vuole asservire lo Stato e la politica alla Chiesa e ai suoi proclami, sia che si tratti di semplici orientamenti sia che si tratti di encicliche. Il democristiano, che pure, proclama la necessità del perdono, pratica con gusto l’arte della scomunica, anche in politica, dove la scomunica diventa emarginazione, e se è presente sul mercato del denaro, dove si compra e si vende il denaro, non ritiene che l’usura sia un peccato e nemmeno un reato. 

      Il democristiano si comporta da bigotto anche quando non lo è, perché ha bisogno di mostrarsi tale agli altri bigotti e alle beghine, e conserva una mentalità confessionale anche quando si trova a gestire la cosa pubblica, così, quando chiede qualcosa, elemosina e, quando offre, pretende che chi deve ricevere se ne stia sempre con il cappello in mano. Applica a se stesso il proverbio più noto che riguarda la casta sacerdotale: “Fa quello che il prete dice e non quello che il prete fa”. Il democristiano, però, dice di fare quello che il prete dice, ma non lo fa e fa tutto quello che un prete può fare di male, perché quello che un prete può fare di bene il democristiano si ripromette di farlo nell’altra vita (quella celeste), dove sarà disposto ad essere povero e santo, preferendo  essere  in questa (terrena) ricco e peccatore.