Il corrosivo del  21 settembre 2010

      

     J’Accuse! Io accuso!  Accuso la classe politica e dirigente di Teramo di essere arrogante e incolta e tanto più arrogante quanto più incolta. L’accuso di puntare solo a gestire il potere in nome e nell’interesse dei propri clan, spesso familiari, e delle proprie consorterie, quasi tutte massoniche, e non in nome e nell’interesse della collettività. E’ una classe politica che cerca di dare risposta alle esigenze e alle richieste dei singoli, per finalità clientelari, e non a quelle generali della città e dei cittadini. Io accuso i politici di questa città, di tutti gli schieramenti, di aver anteposto gli interessi di sacrestia e di bottega a quelli del foro. Accuso gli amministratori degli ultimi quaranta anni di aver avuto come obiettivo la demolizione delle nostre costruzioni più significative e non il loro recupero, di non aver fatto nulla per conservare un’identità civile comune e una tradizione storica che in Abruzzo ci invidiavano.

      Io accuso gli elettori di questa città di aver concesso i propri favori e accordato le proprie preferenze agli incolti, dalla cui mancanza totale di cultura sono derivati alla città danni incalcolabili, di aver chiuso ogni porta ai giovani dallo spirito libero e indipendente, colti e preparati, che avrebbero potuto e potrebbero fare e dare molto e sono costretti per poterlo fare e dare di stare come stranieri e come meteci in altre città, dove il loro valore viene pienamente riconosciuto. Io accuso i politici di aver delegato, per propria incapacità, ogni ruolo culturale alle banche, alle fondazioni e ad altre istituzioni che, quando si occupano di cultura, lo fanno nell’esclusivo interesse dei loro referenti, in un mercato in cui anche la letteratura e l’arte vengono asservite a Mammona: il Denaro. 

      Io accuso! Accuso gli intellettuali aprutini di aver messo la propria indipendenza e la propria libertà al servizio dei potenti, che hanno fondato la loro gestione del potere sull’asservimento economico e occupazionale della gente, tanto da determinare di fatto un controllo sociale rigoroso rivelatosi un cappio al collo di cui è sempre stato difficile liberarsi. Accuso i politici teramani di essere stati e di essere poco lungimiranti, gli imprenditori economici (i pochi degni di questo nome) di essersi messi al servizio dei politici e della speculazione edilizia, di aver tenuto il proprio denaro al sicuro, nei depositi bancari, invece di investirlo e dargli così un valore sociale e di promozione collettiva della comunità. Accuso l’economia teramana di essere stata sempre asfittica, di aver sempre puntato sul mattone, sotto il quale ha sepolto ogni diversa aspirazione.

      Accuso la stampa teramana di aver avuto sempre il fiato corto e di aver praticato il vizio della comunicazione e non la virtù dell’informazione; accuso i teramani di leggere poco e male, di aver messo in secondo piano tutti gli altri vizi capitali rispetto a quello della gola; di aver rinunciato ad ogni altra virtù a beneficio di quelle poche che sono meno apprezzabili. Accuso i maggiorenti di questa città di aver costituito una cupola di potere relegando i non adepti al ruolo di umili e di gente che non conta se non al momento del voto; accuso chi ha votato di essersi occupato di politica solo al momento del voto, per disinteressarsene in tutti gli altri. Accuso la destra per non aver fatto la destra e la sinistra per non aver fatto la sinistra; accuso il centro per aver fatto il centro, cioè un luogo paludoso dove l’acqua stagnante imputridisce.

     Accuso i moderati per esserlo stati poco e gli estremisti per la stessa ragione, perché non ho mai stimato chi, dovendo scegliere tra il bianco e nero, preferisce il grigio e chi, dovendo scegliere tra il bene e il male, opta per il “bele” e il “mane”, in un continuo anelito di mediazione e di compromesso ad ogni costo. Accuso la magistratura di questa città di aver spesso tenuto l’occhio aperto per vedere le pagliuzze e gli occhi chiusi per non vedere le travi; accuso i cattolici per aver pensato che tutti dovessero condividere le loro pratiche e i non cattolici per lo stesso motivo. Ho pietà per gli agnostici, che qui da noi, come sotto tutte le latitudini, sono destinati al rogo.

     Amo chi ama la mia città e odio chi non l’ama, disprezzo chi ne ha dato le chiavi, dorate, a chi è venuto da conquistatore e l’ha conquistata, allontanandosene dopo, lasciando dietro di sé solo rovine.