Il corrosivo del  17 agosto 2010

      

     Che ci fosse qualcosa che non andava nell’Amministrazione Provinciale ai tempi di Claudio Ruffini e ancor più ai tempi di Ernino D’Agostino erano (ed eravamo) in tanti a saperlo. Non che lo sapessero tutti, perché “tutti” è un termine impegnativo e basterebbe che a non saperlo fosse stato uno solo a impedirci di usarlo. Limitiamoci perciò al termine “molti”, e se proprio vogliamo, al termine “troppi”. Eravamo in “troppi” a saperlo. Bastava parlare con qualche impiegato, con qualche funzionario o con qualche sindacalista per venirne a sapere delle belle. Si parlava e si sparlava di un potere che era diventato strapotere e che l’esercizio di questo potere scendeva giù, a pioggia, lungo i gradi della gerarchia, tramutandosi in laute retribuzioni che erano tanto più laute quanto più ci si avvicinava al vertice della scala.

      Si parlava di auto-assegnazioni quasi d’ufficio di riconoscimenti economici e di premi di produttività del tutto immotivati e premianti chi in fondo non faceva che il proprio lavoro, ammesso che lo facesse. Ma quello di cui più si parlava e si sparlava era un vero e proprio “esproprio” del potere politico da parte del potere burocratico, che aveva di fatto reso nullo qualsiasi tentativo di gestione politica dell’ente. Insomma si diceva che il presidente e gli assessori in pratica non contavano quasi nulla e che l’apparato politico non era solo a decidere, anzi, che in molti aspetti e in molti settori, non decidesse nulla. Ricordo che ci fu qualche articolo di stampa e perfino qualche foglio satirico (tanto per non far nomi l’inserto satirico de “La Città”, “Sor Paolo”) che descrisse la situazione che si era venuta a determinare.

      I controlli contabili ed amministrativi che sono stati fatti e che sono stati pubblicizzati recentemente hanno mostrato che molte delle cose scritte a suo tempo erano del tutto esatte e che la situazione che si era venuta a determinare in Provincia era ancora più grave di quanto si pensasse e si scrivesse e che alcuni stipendi erano davvero d’oro e ingiustificati, tanto che chi li ha percepiti ha ora davanti a sé lo spettro della restituzione. Ma come si era arrivati a tanto? Come era stato possibile che l’apparato dirigenziale, divenuto del tutto auto-referenziale, si attribuisse così alti appannaggi?

      La domanda esula dell’Amministrazione Provinciale e potremmo estenderla ad altri enti. Come è possibile che dirigenti di enti pubblici, o politici, le cui responsabilità non facciamo fatica ad ammettere che possano risultare serie e importanti, godano di retribuzioni di centinaia di migliaia di euro, del tutto non corrispondenti all’utile netto che i cittadini amministrati ne ricavano in termini di efficienza? Come è possibile che in molti casi le leve del comando siano lasciate nelle mani di questi dirigenti, in un vuoto totale ed assoluto della politica e dell’apparato politico? Come è possibile che in un’amministrazione provinciale il vero detentore del potere, il Minosse “la cui coda tutto avvinghia” sia non il presidente, ma il direttore generale?

      Le ipotesi sono due: o il presidente (o il potere politico in senso lato) è così incompetente che deve necessariamente affidarsi all’apparato dirigenziale e delegare ad esso ogni decisione, o è così ingenuo e distratto da non vedere ciò che è fin troppo facile vedere e vedono tutti. In ogni caso, un politico che rinunci alle proprie prerogative e si lasci imporre, per incompetenza o per ingenua distrazione, le scelte decisive di un ente è da considerare negativamente e senza giustificazioni di sorta. Devo dire che ritengo la bocciatura del presidente D’Agostino determinata dalle infelici scelte del centro-sinistra, che per candidare un uomo di centro-destra a sindaco del Comune di  Teramo, in base ad un accordo scellerato, ha finito per perdere anche la Provincia e che senza questa provocazione l’elettorato avrebbe finito per confermare D’Agostino. Ritengo dunque che, al di là del vuoto politico determinato dallo scarso polso del presidente nei confronti del suo direttore generale, la situazione sarebbe rimasta la stessa, magari peggiorata.

      Questo non toglie che D’Agostino sia stato, come presidente-non-presidente, la più grande delusione registrata dalle nostre parti negli ultimi trenta anni, perché la sua elezione era stata accompagnata da tante speranze, tutte giustificate dalla stima generale e dal consenso personale di cui indubbiamente godeva. Vederlo presidente sotto tutela dell’apparato burocratico e dei suoi dirigenti è stato penoso; vederlo bocciato dall’elettorato al di là delle sue colpe specifiche lo è stato ancora di più.

      Ma anche il nuovo presidente, Catarra, che si è trovato a vincere le elezioni senza meriti, ma solo per un colpo di fortuna, non determinato da lui, non ci fa sperare che le cose in provincia possano migliorare, anche se, in base ad un mezzo “spoil sistem”, alcuni personaggi ingombranti nell’apparato burocratico non ci sono più. Il fatto è che, come ai tempi di D’Agostino presidente, anche oggi, con Catarra presidente, si avverte che in Provincia la politica ha abdicato e non governa, ma si lascia governare.