Il corrosivo del  10 agosto 2010

      

     L’ex ministro Scajola, di fronte alle contestazioni riguardo all’acquisto della sua casa romana situata proprio davanti al Colosseo, si giustifica dicendo che qualcuno deve aver pagato quella casa a suo nome e a “sua insaputa”. Gianfranco Fini, nel giustificarsi di fronte alle accuse avanzategli riguardo all’altrettanto casa famosa di Montecarlo, dichiara che il fratello della sua compagna l’aveva affittata e vi abitava “a sua insaputa”. Molti commensali del famigerato faccendiere Flavio Carboni, convenuti in casa di Denis Verdini, dichiarano che il discusso personaggio era stato invitato a pranzo “a loro insaputa” e alcuni perfino negano di “sapere” dei suoi precedenti penali. Berlusconi si era messo dentro casa, come stalliere, tale Mangano, ma era “all’insaputa” dei suoi precedenti penali e non sapeva che si trattava di un mafioso. Anche Dell’Utri, che aveva presentato Mangano a Berlusconi, era “all’insaputa” della sua mafiosità.

     Molti altri politici protagonisti di recenti cronache giudiziarie, in cui sono coinvolti a vario titolo, dichiarano di essere stati “all’insaputa” di molte cose e di non essere stati a conoscenza di fatti che con ogni evidenza avrebbero invece dovuto conoscere. Altri, accusati di aver commesso reati o di aver tenuto condotte certamente poco consone al loro ruolo, tirano fuori delle auto-difese o delle auto-giustificazioni che suonano altrettanto incredibili e puerili. Si mostrano stupiti, sorpresi, indignati che certe accuse siano loro rivolte, taluni indizi considerati e certi sospetti avanzati. La faccia tosta con la quale cercano di accreditare tesi auto-assolutorie del tutto paradossali non impedisce loro, anzi glielo consente, di accampare il diritto di giustificarsi in modo tanto incredibile, e perfino la speranza (anzi la pretesa) di essere creduti, mostrandosi sorpresi quando non lo sono.

      Ma come si fa a credere alla buona fede di tanti  pirati, che con tanta furbizia e perizia hanno percorso i sette mari di una politica corsara e avventurosa, affrontando venti insidiosi di ogni provenienza e sopravvivendo a mille battaglie e a mille scontri, e poi pretendono che si creda ad una loro presunta ed assunta ingenuità, che non troveremmo nemmeno in uno scolaro delle scuole medie alle prime armi? Ma come? Hanno affrontato una navigazione tanto pericolosa in mezzo agli scogli e poi in mare aperto hanno abboccato al primo amo che hanno incontrato, del tutto all’insaputa dell’esca che vi era appesa? Come possono pretendere che noi si creda al fatto che siano stati avvicinati in un bosco da un lupo cattivo sotto mentite spoglie e che si siano lasciati trattare come tanti “Cappuccetto Rosso”, lasciandosi indurre, solo per imperizia, a comportamenti qualificabili come “borderline” rispetto al confine tra il lecito e l’illecito? Chi contravviene alle regole della religione commette un peccato; chi contravviene alle regole del codice penale commette un reato. Ma ci sono regole di comportamento anche in politica e ci cono perfino delle regole morali. Come potremmo definire la loro trasgressione? Con quali neologismi? “Immoralato” per la trasgressione delle regole morali? E per la trasgressione di quelle politiche?

     Ma non importa una questione nominalistica. Quale che possa essere il nome, al di là delle regole religiose (del tutto stringenti per chi si dice cristiano o anche democristiano), e al di là delle regole penali, ci sono regole morali e di comportamento politico. E un comportamento politico, come l’essere commensale di un faccendiere o di un mafioso, o andare a cena con un pregiudicato o accettare regali da qualcuno con cui si hanno rapporti nella pubblica amministrazione, o “inventare” progetti solo per favorire un imprenditore volendo mostrare di farlo a difesa dei suoi lavoratori, può non essere peccato, può non essere reato, ma è certamente immorale e politicamente non specchiato. A conferma che le regole del comportamento politico sono ancora più stringenti e pressanti di quelle del codice penale. E’ per questo che, pur sapendole contrarie al codice penale, certe azioni i politici dovrebbero evitarle.

     E invece no. Vi si cacciano dentro, come in una ragnatela vischiosa, avviluppandovisi compiaciuti e per niente riottosi. Continuano poi ad arrogarsi il diritto di voler essere giudicati solo sul piano penale e di essere ritenuti e considerati del tutto innocenti fino a quando una loro azione non sia stata sanzionata penalmente dalla Cassazione e sulla base di leggi che essi stessi, o i loro protettori,  scrivono per depenalizzare i loro reati. Sorpresi con il sorcio in bocca, dichiarano che non hanno commesso nulla di penalmente rivelante, perché ancora non se lo sono mangiato e non si può dimostrare che ne avessero l’intenzione, e pretendono di essere creduti quando affermano che lo stavano soltanto portando a fare una passeggiata.