Il corrosivo del  3 agosto 2010

   

    Gianfranco Fini aveva un partito, che aveva avuto come lascito ereditario generoso da Giorgio Almirante, e se lo è giocato con un paio di puntate sbagliate alla roulette della politica italiana, sacrificandolo sull’altare delle proprie individuali ambizioni di potere. Lo aveva portato in dote in un matrimonio che lo vedeva partner debole e che sembrava già a prima vista non destinato a lunga e indissolubile durata. I suoi colonnelli, da lui usati proprio come si usano le fiches al tavolo della roulette, si erano lasciati attrarre dal croupier, il grande biscazziere, e quando Fini ha pensato che il matrimonio doveva scioglierlo per continuate a nutrire le proprie personali ambizioni, si è accorto che quei suoi colonnelli sarebbero rimasti attratti per sempre nell’orbita arcoriana, come fiches incollate sul tappeto verde del casinò, come mosche sul miele, incapaci di staccarsi. D’altro canto il “venticinqueluglismo” è sempre rimasto di casa da quelle parti, e questa volta è arrivato con qualche giorno di ritardo.

     Fini è rimasto con un manipolo dei suoi, non i colonnelli, ma i peones, i fanti, destinati a marciare o a marcire lungo un percorso incognito e appena segnato sulla mappa di uno sterminato deserto. Sono curioso di vedere quanti in Abruzzo faranno la stessa scelta di chi ha deciso di andargli dietro, facendolo con grande rammarico, sapendo di dover rinunciare con tutta probabilità a poltrone di gran pregio e prestigio. Sono sicuro che non saranno molti, nella destra abruzzese, quelli che seguiranno Fini. I “duri e puri” di un tempo erano già da tempo diventati molli e impuri al seguito del satrapo e non rinunceranno facilmente alla vincita conseguita come giocando una fortunata schedina del totocalcio. Quelli che venivano dal ventre della balena democristiana ed erano transitati in Alleanza Nazionale solo per calcolo e convenienza continueranno, sempre per calcolo e convenienza, a rimanere all’ombra della grande quercia, non immaginando che un giorno potrà cadere, ma già pronti ad essere i primi a farla a pezzi  quando essa sarà caduta, per avere legno da ardere nel loro personale caminetto, in grado di accendersi con qualsiasi tipo di legna, anche quella bagnata e resa marcia dalla pioggia e dal fango.

     Il capo della giunta regionale, una volta uomo libero e senza tessera, è approdato anche lui alla grande mangiatoia, dove a riscaldare il bambinello non sono un bue e un asinello, ma pale eoliche e televisori sempre accesi, e alla prima occasione, alla prima richiesta, ha inferto anche lui il suo colpo di stocco alla schiena di Fini, impedendogli di esprimere in libertà il proprio pensiero in un partito che si chiama partito della libertà. Alla domanda: “quanti seguiranno Fini in Abruzzo?”, temo che ci sia una risposta scontata: “pochissimi”.

     Volete mettere: c’è una grande differenza tra il trascorrere l’inverno e affrontare il freddo, la pioggia e il vento in un palazzo dorato, ben riscaldato, e il doverlo fare in un misero tugurio, senza porta e senza finestre, riscaldandosi soltanto al fuoco tiepido della propria libertà e della propria coscienza. La legge del grande corruttore impera sovrana e le ubbidiscono tutte le coscienze, anche quelle che un tempo erano fiere di rimanere al di fuori dell’arco costituzionale, a difesa della propria orgogliosa diversità. Un grande stomaco onnivoro è in grado di digerire veramente ogni cosa, anche materiali assai poco nobili e poco digeribili, quale la vicinanza sugli scranni, o nelle file dello stesso partito, di corrotti, corruttori, indiziati, indagati, condannati, transfughi di centomila schieramenti e di centomila bandiere, in perenne odore di trasformismo.

     Una volta si diceva: ci sarà pure un giudice a Berlino! Stiamo scoprendo che ci sono giudici anche in Abruzzo e sono in grado di tenere gli occhi aperti e di fare il loro dovere. Ci auguriamo di scoprire un giorno che ci sono dei giudici anche a Teramo, con gli occhi altrettanto aperti, anche se danno l’impressione a volte di tenerli chiusi. Personalmente mi auguro anche che il termine “giustizialista” cessi di essere interpretato come un insulto. Per me come insulto suona ancora di più un termine come “ladro”, soprattutto se chi se lo merita per meritarselo si serve della politica.