Il corrosivo del  6 luglio 2010

 

       Un amico mi chiede, con uno strano sorriso sulle labbra: “Adesso, con la legge bavaglio, come farai a continuare a raccontare i tuoi processi?”. Rimango perplesso e penso ad una battuta di spirito. L’amico deve essere in vena di scherzi. Che cosa c’entrano i miei vecchi processi, le mie antiche cronache giudiziarie, con la legge sulle intercettazioni e l’impedimento a pubblicare, anche per semplice riassunto, atti giudiziari? Io racconto vicende e processi del passato… Alcuni sono avvenuti nell’ottocento, altri nei primi del novecento, e non c’erano intercettazioni. Sì la legge, se approvata, impedirà di pubblicare i contenuti di atti giudiziari relativi a processi in corso, non a processi già definiti e conclusi. “Attento, attento…” mi dice l’amico, al quale, sempre sorridendo e in tono di scherzo, propongo queste contro-argomentazioni. E prosegue: “Gli atti non pubblicabili sono anche quelli di processi che si sono conclusi… passati in giudicato… sempre che…”. Ragioniamo ancora un po’. Lui insiste nel dire che alcune cose che ho raccontato non le potrò più raccontare. Lo fa sempre in tono di scherzo. Io insisto nel dire che invece potrò ancora. Sempre in tono di scherzo. Ma mi ha messo una pulce nell’orecchio.

          Tornato a casa, rifletto. Vado a leggere il testo della legge che viene proposta, quella che chiamano legge bavaglio. Però… Vuoi vedere che ha ragione il mio amico? Certo, per i primissimi anni dell’arco temporale che mi sono personalmente e volontariamente dato per i miei racconti processuali (1861-1961) non avrò problemi. Ma per gli ultimi? Per gli anni che vanno dal dopoguerra agli anni ’60?  Leggo meglio, con più attenzione, rifletto. Sono non pubblicabili, pena l’ammenda o la condanna per autore ed editore, gli atti giudiziari o parte di essi… eccetera, eccetera, anche per processi conclusi e passati in giudicato… eccetera eccetera… sempre che… eccetera, eccetera… La legge proposta va ad incrociarsi con altre leggi e con altri dispositivi che finora non avevano costituito impedimento, anche per prassi corrente. Ne deriva un “combinato disposto”, come lo chiamano i giuristi. Mi vengono in mente altre cose. Quando faccio le mie ricerche, non devo tener conto di una formale, fin qui solo formale, limitazione temporale? Non mi è preclusa la consultazione di atti relativi agli ultimi 75 anni? L’ultimo deposito cartaceo dall’archivio del Tribunale all’Archivio di Stato si ferma al 1910, e gli atti successivi a questa data sono ancora nell’archivio del Tribunale. Per poterli consultare, ho avuto l’autorizzazione del presidente del Tribunale. Dunque… se la legge che impedirà la pubblicazione anche per resoconto di atti processuali si incrocerà con questa disposizione mai abrogata di non poter accedere agli atti relativi agli ultimi 75 anni, le penalità terrificanti previste per chi contravviene al divieto di pubblicazione di atti giudiziari riguarderà anche me, i miei libri, i miei articoli. Ha ragione il mio amico. E anche se non avesse ragione, il mio editore se la sentirebbe di rischiare una pena tanto esagerata per consentirmi di pubblicare un libro su un processo celebrato negli ultimi 75 anni, cioè successivamente al 1935? Non sarei più io a determinare liberamente l’arco temporale delle mie narrazioni, ma sarebbe la legge. A me scrivente (per non avere la supponenza di auto-definirmi scrittore), a me narrante (per non avere la supponenza di auto-definirmi narratore), sarebbe imposto per legge un limite tra ciò che posso scrivere e ciò che non posso scrivere, tra ciò che posso narrare e ciò che non posso narrare, con la comminatoria di una forte pena e di un grosso esborso di denaro.

          Limitare la libertà di uno scrittore (o di uno scrivente) era considerato finora caratteristico dei regimi dittatoriali e totalitari. Non era consentito in democrazia determinare per mezzo di una legge dello Stato ciò che si può scrivere e ciò che non si può scrivere. Ogni censura preventiva era considerata illiberale e intollerante. E l’unico limite che la libertà di uno scrittore o di un giornalista aveva si trovava nel codice penale, negli articoli che prevedono la condanna dei reati di diffamazione e di calunnia. Se la legge bavaglio sarà approvata, non sarà più così. Essa riguarderà anche me. Anche se nelle mie narrazioni mi tengo per stile e per scelta sempre aderente alla realtà processuale che trovo nei fascicoli giudiziari, mi sarà preventivamente impedito di pubblicare alcuni elementi, che potrebbero essere ritenuti da un giudice (che dovesse applicare in maniera rigorosa la legge sul divieto di pubblicazioni di atti giudiziari) irrilevanti e perciò non pubblicabili. Io rivendico, come libero pensatore, come libero scrivente e come libero narrante (sempre per non avere la supponenza di autodefinirmi scrittore e narratore, ma con la sicurezza non supponente di potermi definire pensatore e libero) di poter scegliere da me ciò che ritengo rilevante o irrilevante ai fini della mia narrazione.