Il corrosivo del  29 giugno 2010

 

   

     C’è chi ritiene coraggioso denunciare il degrado materiale e morale di questa nostra città, e di questa nostra provincia, scrivendo di malfunzionamenti o di disfunzionalità, elencando quotidianamente una serie di fatti analizzati con il piglio di chi crede di avere improvvisamente scoperto il modo di risvegliare (attraverso la denuncia, anche gridata) le coscienze assopite e indurle ad una sorta di ribellione al potere costituito e consolidato in anni di passiva accettazione ed assuefazione. Io ritengo che questo digrignare i denti, volendo mostrarsi giornalisticamente aggressivi e coraggiosi, si risolva in una specie di impotente abbaiare alla luna, nell’illusione che la luna possa scuotersi o che possano scuotersi i viandanti notturni che camminano lasciandosi guidare dalla sua luce.

     Penso che non riusciremo a modificare nulla nel rapporto tra il potere e i cittadini se, in primo luogo, non riusciremo a studiare e a capire da chi questo potere viene esercitato, come è stato conseguito e come viene mantenuto. Se non riusciremo a capire su che cosa si basi il consenso, un consenso largo e compiaciuto, a questo potere, facilitato anche tra la stretta connessione esistente tra l’esercizio del potere politico, l’esercizio del potere economico e l’esercizio del potere bancario. Questa connessione costituisce un intreccio che diventa imbattibile quando, come avviene da tempo, beneficia anche di un rigoroso controllo dell’informazione e quindi della pubblica opinione. Occorrerebbe fare per Teramo quanto fece Niccolò Machiavelli per l’Italia del suo tempo, individuando nel “Principe” la fenomenologia del potere e del suo esercizio. Chi è a Teramo “il Principe”? Quali sono le sue forme? E quali le forme del suo potere?

     Non è facile rispondere a questi interrogativi, così come non è facile ripercorrere a ritroso i fili dell’intreccio, perché anche potendo formulare ipotesi di lavoro, non è agevole verificarle e farle sfociare in tesi, dimostrabili o esplicitabili senza rischiare ritorsioni di tipo giudiziario. Certo è che “il Principe” (cioè la detenzione del potere politico-economico-bancario) è costituito da una cupola, trasversale e collegata con la massoneria, che sta diventando ogni giorno più predominante e consapevole della propria forza, tanto da esibire le proprie insegne ed esibirsi senza alcuna paura. Di fronte a questa forza, di per sé coercitiva, l’assopimento delle coscienze è risultato scontato e ogni opposizione viene vanificata sul nascere. Di fatto non esiste alcuna opposizione. Come potrebbe esistere?

     Non sfugga il fatto, facilmente riscontrabile, che molte delle idee perverse che, attuate, stanno stravolgendo il volto di questa nostra città-capoluogo, hanno avuto un incubatoio in quel decennio politico-amministrativo dominato da Angelo Sperandio. All’epoca il Principe”, cioè la cupola alla quale mi riferisco, che deteneva il potere a Teramo e lo gestiva con tanta maestria coercitiva, in forme non dissimili da quelle di oggi, era lo stesso. Come potrebbe l’area che si riferisce idealmente a quel decennio esprimere una propria forza oppositiva? C’è una continuità tra l’era Sperandio, l’era Chiodi e l’era Brucchi. I disegni non sono mutati, né sono mutate le prospettive, quando è cambiato il segno politico nell’espressione matematica e geometrica della gestione del potere cittadino, a dimostrazione che la continuità è reale e il “discretum” (la discontinuità) inesistente.

     Molte delle formule del Machiavelli sono a Teramo e provincia riscontrabili con facilità e possono aiutare a interpretare i fatti. Ma non sono sufficienti per la comprensione totale degli avvenimenti. Occorre servirsi anche della lezione di Max Weber e di altre lezioni, di filosofi e sociologi che hanno studiato la morfologia del controllo sociale mediante l’utilizzo delle clientele e di gruppi differenziati di potere, manipolabili e gestibili in vista di determinati obiettivi senza che gli uni e gli altri siano a conoscenza delle relazioni reciproche, controllate solo dall’alto.

     Tutta la struttura assomiglia a quella dei fili che utilizza il “puparo” per far muovere le sue marionette, che si muovono ciascuna per proprio conto, ma rispondendo ad una strategia comune. E’ perfettamente inutile per lo spettatore del teatro dei pupi prendersela con le singole marionette e con la parte che esse separatamente recitano. E’ puerile amarle, odiarle o polemizzare con loro, cercare di intervistarle, ascoltare il loro parere E’ una perdita di tempo. E’ inutile. Non serve. Se si vuole capire l’intero intreccio del “Rinaldo in campo” occorre andare dietro le quinte e cercare di capire chi è “il puparo” e come muove i fili. Ma attenzione: può essere pericoloso.