Il corrosivo del  1° giugno 2010

Non mi piace. Se è ancora giornalismo (ma non credo che lo sia), devo dire che non mi piace. Che giornalismo è quello di chi, invece di informare, spiegare, chiarire al lettore la vicenda di cui sta parlando, ne scrive in forma così oscura, contorta, criptica, da non permettere nemmeno a chi ne è al corrente di riconoscerla e di capire che cosa si sta dicendo in merito o quale opinione se ne sta dando? Che giornalismo è quello di chi si limita ad allusioni generiche, che sembrano esposte in codice, difficili da decrittare, sciorinate come fossero i vaticini ambivalenti di oracoli cumani? Che giornalismo è quello di chi scrive in cifra, evocando scenari così confusi da sembrare profezie di prefiche e cassandre ubriache per aver tracannato troppe coppe di nettare macedone? Non mi piace. Se è ancora giornalismo (ma non credo che lo sia), dico che non mi piace. Non mi piace questo dire e non dire, questo scrivere più per non far capire che per far capire, questo dire e omettere insieme, che sta contrassegnando e caratterizzando lo scritto di alcuni giornalisti (alcuni lo sono, altri dicono di esserlo) che vanno pubblicando su fogli, periodici o blog strane cose in ben strana forma, senza la razionalità di un costrutto sintatticamente definito, ma nel modo preferito di chi profetizza in poesia dopo aver pensato in prosa. Non mi piace questo giornalismo arrembante, che si trasforma in una sorta di cannibalismo e che, senza pretendere di attingere la sacralità della satira e del dramma satiresco, assume vesti carnascialesche nel tentativo di attribuire colori sgargianti ad analisi politico-culturali che sono pallide ed esangui nella migliore delle ipotesi e scheletriche e spettrali nella peggiore. Poiché non voglio essere ferito con la stessa arma che sto maneggiando e non voglio essere investito della stessa accusa che sto rivolgendo ai miei imputati, sarò più chiaro. Da qualche tempo sto leggendo su alcuni periodici teramani (mensili free, siti internet e blog) scritti di autori più o meno noti che non brillano per chiarezza e sono pieni di allusioni quasi mai comprensibili, a persone e a fatti non sempre e non da tutti riconoscibili, che sembrano pubblicati apposta per lanciare segnali o profferire oscure minacce. Non tendono certamente ad informare o ad esprimere opinioni. Vengono evocati personaggi, protagonisti, fatti ed eventi che non sempre sono inquadrabili e non si capisce perciò a chi siano rivolte certe perorazioni, certe disamine, certe arringhe e certe ricostruzioni che sembrano più o meno fantasiose. Chi dovrebbe usufruirne? Sono il meno indicato a parlare di giornalismo, io che, non essendo iscritto all’ordine, giornalista non sono; ma come lettore, come ogni lettore, mi sento autorizzato a dire che cosa mi  aspetto da un giornalista: che sia chiaro nella forma, informato nei contenuti, esplicito nelle intenzioni, diretto e concreto nelle descrizioni. Non mi piace leggere articoli o contributi che non mi informano, perché non mi consentono di comprendere di che cosa si sta parlando e che cosa se ne sta dicendo. Pretendo di essere informato, non disinformato e chi si limita ad alludere non mi informa, ma mi disinforma. E’ difficile questo da comprendere? Non credo. Quanto poi ai “parvenus” del giornalismo alternativo, a chi velleitariamente pretende di accreditarsi come contro-informatore e anti-sistema, dedicherò loro qualche specifica riflessione prossimamente. Per ora mi limito a dire che si stanno susseguendo, perlopiù sempre su blog, interventi scritti e parlati di operatori di varia natura e di varia competenza che un po’ tardivamente hanno cominciato a coniugare i verbi più frequentemente utilizzati da chi spera in un cambiamento o in un rinnovamento sociale, culturale e politico, ma finora non hanno mai avuto il coraggio di “corciarsi le maniche” e “sporcarsi le mani” nel tentativo di provare a cambiare realmente le cose. E non sto facendo allusioni. Perché ogni teramano conosce i nomi di chi a Teramo ha provato a cambiare le cose, senza riuscirci, e di chi non ci ha mai provato, pur continuando a dire, o cominciando a dire da poco tempo, che è assolutamente necessario cambiarle.