Il corrosivo del  18 maggio 2010

La questora [lo so che si dovrebbe dire sempre questore, al maschile, anche nel caso di un questore donna, e prefetto, al maschile, anche nel caso di una prefetto donna, ma allora perché si dice professoressa e avvocatessa, quando si parla di donne? Perciò esprimo una mia protesta dicendo la questora] di Teramo ha recentemente espresso giudizi critici (lo ha riportato la stampa) sulla stampa teramana, dicendo che, invece di fare quel che lei pensa debba fare la stampa, si limita ad occuparsi di “cronaca spicciola”, senza peraltro dire che cosa intendesse con questa espressione e in che cosa consista la cronaca (perché in un modo o nell’altro anche il giornalismo deve fare la cronaca, oltre che inchieste e altre cose) “non spicciola”. Il presidente [e qui vado sul liscio, perché avrei detto presidente, al maschile, anche se fosse stato un presidente donna, ma è un uomo e quindi non esprimo alcuna protesta] dell’ordine dei giornalisti abruzzesi si è affrettato a rispondere alla questora che non può dire alla stampa (e ai giornalisti) quello che deve o non deve fare (e ai giornalisti quello che devono o non devono fare), senza aggiungere (ma si capiva benissimo che lo pensava), che lei, la questora, era meglio che si limitasse a fare quello che una questora deve fare, senza interferire nel lavoro altrui. Ora, si dà il caso che, secondo una opinione assai diffusa, uno dei compiti specifici della stampa, e quindi dei giornalisti, consiste nell’occuparsi del lavoro altrui e nel giudicarlo. I giornalisti si arrogano il diritto di giudicare come fanno il loro lavoro i politici, gli amministratori, i medici, gli insegnanti, i sindacalisti e perfino i preti, oltre che, beninteso, gli altri giornalisti, anche se questi ultimi, quando vengono giudicati dai colleghi strillano spesso alla lesa maestà. Insomma, i giornalisti ritengono di avere il diritto, e perfino il dovere, di giudicare il lavoro degli altri, di tutti gli altri. Perché dunque criticare che una questora (o un politico, un sindaco, un prefetto, un prete o un altro giornalista) esprima a sua volta critiche sul lavoro dei giornalisti? Certo, come può esprimere un giudizio critico valido su un determinato lavoro  o mestiere uno che svolge tutt’altro lavoro ed esercita tutt’altro mestiere, senza avere specifiche competenze al riguardo? Come può giudicare come svolge il proprio lavoro un fantino uno che non sa niente dei cavalli e dell’arte di montare in sella o il lavoro di un chirurgo uno che non ha mai preso in mano un bisturi? Come può criticare un questore (o una questora) uno che non sa niente di ordine pubblico? E come può giudicare la sentenza di un giudice uno che non ha mai fatto parte di una giuria o il lavoro di un insegnante uno che non ha mai insegnato e che anche quanto ad imparare si è impegnato poco? Se a questi interrogativi si risponde che non si può, se ne deve concludere che chiunque svolga una professione o eserciti un mestiere possa e debba essere giudicato solo da coloro che svolgono la stessa professione o esercitano lo stesso mestiere: i giudici dai giudici, i questori dai questori, i falegnami dai falegnami, i politici dai politici, i giornalisti dai giornalisti, i medici dai medici, gli insegnanti dagli insegnanti, i notai dai notai. Sono molti che la pensano così, e sono i sostenitori delle corporazioni di mestiere e degli ordini professionali. Una volta i preti potevano essere giudicati solo dai preti (i tribunali ecclesiastici), i militari dai militari (i tribunali militari) e ancora oggi i ministri vengono giudicati solo dai ministri (tribunali dei ministri) e i giudici dai giudici (CSM). Una volta i re venivano giudicati solo dai re e le regine solo dalle regine. Ancora oggi gli ordini professionali (anche quelli dei giornalisti) hanno specifiche competenze nell’esprimere giudizi e nel prendere (a grande discrezionalità) provvedimenti disciplinari. Ma la nostra società si è evoluta, almeno in teoria, democraticamente e in una democrazia il cittadino, in quanto tale, ha il diritto di esprimere giudizi su tutti gli altri cittadini, qualunque professione svolgano e qualsiasi mestiere esercitino. Per questo un giornalista (in quanto cittadino che informa gli altri su quanto accade ed esprime opinioni su quanto accade)  può legittimamente esprimere giudizi su come un politico fa il politico, su come un giudice fa il giudice, su come un questore fa il questore, su come un insegnante fa l’insegnante, su come un altro giornalista fa il giornalista. Devono essere perciò consentite sia le critiche che una questora (o un questore) fa ad un certo modo di fare il giornalismo, sia quelle che un giornalista (o una giornalista) fa ad un certo modo di fare il questore. Senza che il giornalista escluda che un questore (o una questora) possa criticare un giornalista o un questore (o una questora) escluda che un giornalista possa giudicare un questore (o una questora).  Al di fuori del concetto di lesa maestà e senza gli anacronistici scudi degli ordini professionali.