Il corrosivo del 27 aprile 2010

Quello che in questi giorni mi diverte di più nelle vicende politiche (ormai le osservo solo per trovare spunti di divertimento puro, essendo da tempo diventate solo vicende comiche) è il “riposizionamento” di molti protagonisti e le ansie che da esso derivano. Quando incontro i politici locali, cerco di scrutare nei loro volti e di capire dai loro discorsi la sofferenza con cui tentano di individuare quale possa essere il “posto” dove collocarsi nell’ambito del proprio schieramento. Ciascuno si chiede: “Dove conviene che io mi situi? Dove mi potrà essere riservata una maggiore fetta di potere o di sottopotere? Dove mi conviene stare per conservare il potere che ho e magari aspirare, come merito e come ambisco a fare, ad accrescerlo?” Questo non vale solo per lo schieramento di centrodestra, letteralmente sconquassato dalla mossa di Gianfranco Fini, ma anche per quello di centrosinistra, la cui assenza di una precisa identità consente le più spericolate capriole. Riservando a quest’ultimo schieramento e ai “riposizionamenti” che vi si stanno verificando una prossima analisi, mi dedico a qualche riflessione relativa al centrodestra. La maggior parte dei protagonisti dello scenario politico di casa nostra (intendo l’Abruzzo) pensa che non convenga allontanarsi molto dalle posizioni berlusconiane, perché Re Silvio viene dato per vincente e per di più viene considerato molto vendicativo, per cui sbagliare a posizionarsi potrebbe significare morire politicamente ed essere cancellati per sempre. Così anche molti ex missini (non ce ne sono rimasti molti) e molti ex aennini fanno la fila per andare a rendere omaggio ai capetti e a prestare rinnovati giuramenti di fede e di lealtà. Avendo ormai abbandonato ogni residuo pudore (ammesso che lo abbiano mai avuto), si genuflettono come hanno imparato a fare negli ultimi anni e come si sono abituati a fare sempre meglio e vanno a dare dove devono le più ampie rassicurazioni. Dopo aver tradito tutto il tradibile e rinnegato tutto il rinnegabile dell’antica fede, i “destrini” locali vanno ad ammucchiarsi cercando di farsi notare per il particolare servilismo di cui sono capaci, mettendocela tutta nel far credere che sono mossi da nobili ideali e da non da calcoli interessati. Di qualcuno si è saputo che in un primo momento aveva pensato di esprimere posizione “finiane”, ma che poi, dopo qualche notte insonne, ci ha ripensato, mostrando prima una certa titubanza e poi opinioni direttamente opposte alle prime intenzioni, dopo aver riflettuto sul fatto che perfino la titubanza poteva costituire atto di accusa per lesa maestà. Qualcun altro è tentato di restare vicino alle espressioni di Fini, ma non ha il coraggio (e non se lo può dare) per esplicitare una tale scelta e rimane nel limbo dell’inespresso, rimandando la scelta, perché in fondo non è da escludere che, se davvero Fini dovesse formare una propria corrente, o un proprio partito, essendo in pochi, ci sarebbe da sperare di poter scalare qualche posizione nella classifica della rendita di posizione. E’ una visione, o una pre-visione, allettante e ammiccante, ma pericoloso, per cui è bene temporeggiare. Il temporeggiare è l’arte politica sopraffina, quella che consente di fare una cosa solo quando c’è una più che probabile sicurezza della sua convenienza. Devo dire che mi diverto ad osservare queste miserevoli meschinità e a parlare con alcuni di questi personaggi. Mi diverto a sfotterli, a “sfruguliarli”, come dicono i napoletani. Quello che mi diverte di più è che sono così seriosi che nemmeno si accorgono che li sto prendendo in giro, loro e le loro paure, loro e le loro smanie, non per la villeggiatura di goldoniana memoria, ma per lo “sgomitamento”. Lo confesso, mi divertono. Ma che pena mi fanno!