Il corrosivo del 20 aprile 2010

La notizia è sorprendente. Sempre che quella riportata dagli organi di stampa sia esatta e magari fornita da fonti autorevoli. Il ritrovamento dietro una fila di libri in uno scaffale della casa dell’avvocato Masi a Nereto di una scatola di scarpe con dentro più di trentamila euro non si può che definire “sorprendente”. Ci eravamo immaginati, e c’era da aspettarselo, che dopo tanti anni, nel corso di chissà quante perquisizioni, alla ricerca di indizi per risolvere un caso rivelatosi difficile (tanto che si è concluso con una archiviazione definitiva), ogni angolo dell’abitazione fosse stata rovistato da cima a fondo. Non avevate pensato anche voi che non solo gli scaffali fossero stati rovistati uno per uno, ma anche i libri, uno per uno e pagina per pagina? Invece no. Sempre che quella scatola non sia finita lì successivamente (e non si vede come, all’insaputa dei familiari), e sempre che sia stata sempre lì e che non sia stata cercata dagli autori dell’efferato crimine, o che sia stata cercata, ma non trovata, e che i coniugi Masi non ne abbiano rivelato la presenza nonostante le pressioni, insomma sempre che essa non abbia nulla a che fare con una rapina e sempre che il movente del duplice massacro non sia stata la rapina… c’è da chiedersi come mai i tanti investigatoti e “perquisitori” non ne siano mai venuti a conoscenza e come mai il ritrovamento sia stato così tardivo. Non si può non pensare che le ricerche dentro quella casa quanto meno siano state superficiali, non approfondite, trascurate e se quella superficialità delle perquisizioni la dovessimo considerare come un indice di professionalità delle indagini esperite dovremmo cominciare a porci più di un interrogativo e a darci spiegazioni di un certo tipo sul perché non si sia stato trovato il bandolo della matassa. Per le mie ricostruzioni dei delitti del passato nella nostra provincia ho sfogliato centinaia di fascicoli processuali. Mi sono trovato di fronte a geniali illuminazioni investigative e a indagini assai approssimative, ho conosciuto (senza conoscerli di persona) degli investigatori di altissima qualità e altri che non avrebbero mai scoperto nulla sul delitto sul quale indagavano se il caso, la fortuna o una insperata confessione non avessero fornito loro la chiave risolutiva. Ho letto centinaia di rapporti di perquisizioni precise, oculate, perfette e altre centinaia di rapporti di perquisizioni fatte alla meno peggio, con reperti trascurati o addirittura rovinati da mani inesperte. Ho letto decine e decine di descrizioni di luoghi del crimine e alcune mi sono parse minuziose, altre sciatte e contraddittorie; ho analizzato decine e decine di referti autoptici, alcuni dei quali erano veri e propri trattati scientifici e altri erano così imprecisi che gli investigatori dovettero ricorrere a riesumazioni, a volte anche duplici. Un’indagine nasce come nasce e si avvia come si avvia. Si conclude come si conclude… quando si conclude. Il delitto Masi non costituirà certo un caso di scuola per la qualità delle indagini e delle investigazioni. Mi auguro che anche il delitto Mazza non si complichi ulteriormente. Sembrava risolto… con tanto di riscontri scientifici, sia pure in assenza dell’individuazione di un preciso movente e del ritrovamento delle armi del delitto e dello scempio del cadavere. Mi pare che, salvo sorprese dell’ultima ora, si stia battendo il passo, davanti all’atteggiamento degli indagati, che ostinatamente negano, anche di fronte a qualche evidenza che però traballa se sottoposta a qualche prova del nove. Che succede? Nel corso delle mie ricerche ho anche accertato che le cronache giornalistiche dell’epoca risultavano assai distanti dalle reali evidenze e dai concreti indizi che gli investigatori avevano a disposizione e che si guardavano bene (facendo benissimo) a non rivelare alla stampa. Non è perciò basandosi su ciò che ci propone la cronaca che possiamo continuare a formulare ipotesi. Mi auguro che i titolari dell’indagine abbiano in mano qualche cosa di più concreto e che dopo le premesse arrivino le conclusioni. Un’altra archiviazione tra quattro o cinque anni sarebbe drammaticamente deludente.