Il corrosivo del 13 aprile 2010

Stavano scorrendo i giorni e, da quel che si sapeva, sembrava che le indagini sull’omicidio di Adele Mazza non stessero facendo passi avanti. Sembrava che ci si trovasse ancora davanti ad un insieme di fatti senza certezze, ad un groviglio di dubbi, alle tante piste aperte e a nessuna di esse imboccata in modo vincente. Stavano passando troppi giorni. La percentuale dei delitti di cui si scoprono gli autori è altissima nelle prime 48 ore. Poi si ha una specie di curva al ribasso. Più le ore e i giorni passano meno alta è la percentuale di probabilità di risolvere il caso. Ad una settimana dal giorno del ritrovamento dei resti della povera vittima, si era entrati in quella fase in cui la probabilità del (o dei) responsabili di non essere scoperti comincia a diventare altissima. Si aveva l’impressione che gli investigatori fossero a conoscenza di particolari di cui la stampa e l’opinione pubblica non avevano saputo niente. Accade sempre così ed è un bene. A volte chi indaga fornisce di proposito informazioni false, se non addirittura distorte, proprio per poter proseguire nel proprio lavoro senza subire intralci. E’ quindi assai probabile che i titolari dell’inchiesta già avessero a disposizione degli elementi indiziari di una certa validità, ma è evidente che la loro consistenza non era tale da consentire, non dico di inchiodare l'autore (o gli autori) dell’omicidio, pur avendo potuto formulare una precisa ipotesi. Bisognava non rimanere sul piano delle congetture. In campo giudiziario la prova è l’elemento principe, centrale, l’indizio è il suo lontano parente povero, ma con la prova conserva, appunto perché parente, un certo legame. La congettura non ha con la prova e con l’indizio nessun grado di parentela e non ha nessuna dignità giudiziaria e può essere formulata indifferentemente sia dagli inquirenti che dalla stampa o dall’uomo della strada. Ecco quindi che per questo terribile crimine che tanto ci ha colpito, bisognava passare alle certezze (che possono essere basate solo sulle prove), partendo da un’ipotesi investigativa (che deve quanto meno basarsi su indizi). Bisognava fare il passo decisivo, che finalmente è stato fatto e ha consentito, a distanza di una settimana, di avere un primo risultato. Perché i risultati successivi di un’inchiesta conclusa sono quelli che fornirà poi il processo. Delle tante riflessioni che si possono fare sul caso, mi limito a poche, quelle che non richiedono troppo tempo e troppo spazio per essere fatte. La prima è che nei confronti del delitto della “squartatrice”, che si verificò a Teramo nel lontano 1952, la reazione dell’opinione pubblica teramana si è rivelata del tutto diversa. Allora la città piombò in un cupo terrore, prodotto dall’orrore, e visse per mesi, addirittura per anni, sotto il peso di una profonda impressione. Quel delitto segnò un’epoca e la contraddistinse. Più di una generazione visse quell’esperienza emotiva con una partecipazione che non diminuì nemmeno con l’affievolirsi del ricordo, anzi venne ingigantita dal mito e dalla fantasia. Questa volta, invece, dopo il primo momento, l’opinione pubblica, “mitridatizzata” dalla serie infinita di terribili crimini che ci vengono raccontati dalla televisione ogni giorno, e qualcuno spiegato con abbondanza di plastici esplicativi, ha elaborato alquanto in fretta la forte impressione. Ai crimini più efferati ci abbiamo fatto il callo, ci siamo abituati, e quasi niente ci impressiona più. Ciò ha portato ad un fatto che costituisce il secondo elemento di riflessione. Sugli investigatori non è stata esercitata la minima pressione, né da parte dell’opinione pubblica né da parte della stampa. Nessuno ha reclamato a gran voce la conclusione delle indagini o ha richiesto una svolta decisiva, quale che fosse, a rischio di puntare tutte le carte su un capro espiatorio. Anche per il delitto Masi, che è ancora irrisolto,non c’è stata alcuna pressione (tranne qualche voce isolata, vedi Rapagnà) e gli investigatori sono stati fatti lavorare come hanno voluto e con i ritmiche hanno voluto, nel caso neretese forse addirittura tranquilli negli sbagli che possono aver commesso. La conclusione di un’inchiesta è sempre cosa positiva, perché un delitto senza colpevole è un mostro giuridico, e di questi mostri, purtroppo, ce ne sono ancora tanti in giro. Per fortuna non resterà a piede libero il mostro vero, l'autore di un orrendo crimine quale quello che ha avuto come vittima la povera Adele Mazza, e non resteranno a piede libero i suoi eventuali complici, se sarà accertato che ne ha avuto.