Il corrosivo del 26 gennaio 2010

Le frasi che non capisco.. Leggo un intervento di Mauro Di Dalmazio sulla questione “smantellamento del vecchio campo sportivo comunale e costruzione al suo posto del nuovo teatro” (ma non sarà costruito solo il teatro, perché saranno realizzati parcheggi, appartamenti e altro) e mi imbatto nel richiamo alla necessità di “rimarginare una ferita” che si sarebbe aperta in quell’area cinquant’anni fa. Cerco di capire: a quale ferita si riferisce Di Dalmazio? E chi l’ha aperta? Chi l’ha fatta sanguinare? Con la memoria scorro negli anni. Di Dalmazio non si riferisce certo alla costruzione del campo sportivo, che risale al 1929 (c’era il fascismo) e quindi a più di cinquanta anni fa. L’immagine della ferita aperta non mi lascia dormire, mi toglie il sonno. Mi viene voglia di conoscere l’identità di chi ha imposto a noi teramani, in quella zona, una ferita che secondo Di Dalmazio non si è ancora rimarginata. Ma, nonostante gli sforzi, non mi viene in mente niente. Non capisco. Poi mi balena alla mente un’altra frase che non capii allora, quando nei lontani anni settanta del secolo scorso, il tecnico incaricato di pianificare particolareggiatamente il centro storico la pronunciò in consiglio comunale, dove era stato chiamare a illustrare il suo progetto, e non capisco ancora oggi. Disse “noi ci dobbiamo riappropriare dell’area del campo sportivo comunale”, giustificando perché voleva smantellarla e proponeva, “more solito”, di costruirci sopra qualche cosa, insomma di sostituire il manto verde con il cemento. Già allora mi chiesi, e mi chiedo ancora oggi, in primo luogo a chi si riferisse con il suo “noi”. Noi chi? Di chi parlava? Chi si doveva riappropriare di quell’area. Perché, certo, non si riferiva ai cittadini teramani, che l’area del vecchio campo sportivo comunale (allora c’era solo quello e il nuovo stadio era soltanto un sogno proibito) non l’avevano mai percepita come un’area “espropriata”. E voi che voleva significare “riappropriarsi”? Era stata davvero espropriata? E chi l’aveva espropriata? Forse i giocatori di calcio? Gli arbitri? I presidenti delle società di calcio cittadine che facevano fatica a far quadrare il bilancio? I tifosi che seguivano le partite? Mistero. Le frasi che non capisco. Rimarginare quella ferita, riappropriarsi di quell’area… Frasi misteriose, a me incomprensibili. Poi mi giro intorno, per Teramo, e vedo davvero delle ferite. Delle ferite che sono davvero ferite, e ancora sanguinanti. Palazzi che sono stati abbattuti, aree che sono state impropriamente edificate, teatri, cinema e hotel che non ci sono più. Guardo ancora e vedo altre ferite, quelle sì veramente ferite e ancora sanguinanti, vedo quell’enorme e scandalosa grande ferita, che non si rimarginerà davvero mai, delle Coste Sant’Agostino ridotte un’unica collina di cemento. Vedo Colle Parco, così simile al prodotto della speculazione edilizia ad Agrigento e nella Valle dei Templi. Vedo le altre colline intorno a Teramo tutte ricoperte da altre costruzioni. E allora mi viene in mente che in questa città davvero qualcuno ha proceduto a delle espropriazioni, nei tempi in cui la “democristianeria” locale praticava una ricerca del consenso elettorale scientifica e spietata, basata sulla concessione del diritto a tutti e a ciascuno di edificare dove, come quando si voleva, in deroga al buon senso, ai piani regolatori, alle norme edilizie e ad ogni altro strumento di pianificazione urbanistica.  E’ allora che, ripensando a tutto questo, di fronte a queste ferite molto più concrete di quella che viene misteriosamente evocata da Di Dalmazio, le frasi che non capisco cominciano ad assumere ai miei occhi un altro significato, rivelandomi, almeno in parte, la loro sinistra portata. E’ allora che mi fermo a considerare come è stata ridotta questa nostra povera città con la scusa di volerla modernizzare e svecchiare, con il pretesto di voler rimarginare ferite e volersi riappropriare di aree che sarebbero state espropriate. E’ allora che mi fermo ad un angolo di una di queste nostre viuzze di una Teramo una volta romana e poi medievale ma che adesso non è più né veramente moderna né veramente antica, che non ha più identità e piango. E intorno a me si muovo i fantasmi… di chi sulla “democristianeria” ha fondato una struttura di potere che si è tramandata dai padri ai figli, beneficiando soltanto pochi a discapito di tutti gli altri e della città.