Il corrosivo del 30 novembre 2009

Comincio a sentire (e a leggere) sempre più spesso allarmate analisi (non sempre e non tutte giornalistiche) della situazione economica e sociale (oltre che finanziaria) della nostra regione in relazione a supposti pericoli di infiltrazione mafiosa. Ho letto, ancora più recentemente, ragionamenti basati sul presupposto che ovunque ci sia un improvviso afflusso di denaro è naturale, quasi fisiologico, che si verifichi un’infiltrazione della mafia e delle altre criminalità organizzate. Gli sviluppi del ragionamento, a partire dal suddetto presupposto, portano alla conclusione che, poiché in Abruzzo sta affluendo un grande flusso di denaro, necessario per la ricostruzione post-terremoto, sia imminente o già in l’arrivo di operatori e di ricostruttori in odore di mafia. Sono convinto che sullo sfondo del ragionamento ricordato ci sia una considerazione sbagliata, quella che ha considerato fin qui la nostra regione come estranea al fenomeno mafioso. E’ la consueta rappresentazione di un’Italia malata di mafia solo al sud e sana al nord, basata su un’idea altrettanto sbagliata della circolazione monetaria e finanziaria, oltre che criminale, all’interno di una realtà unitaria. La mafia non è una patologia che colpisce i piedi e lascia sana la testa e chi non dice che essa è un problema (e assai grave) nazionale e non solo un problema del sud trascura gran parte di ciò che bisogna prendere in considerazione per una valutazione oggettiva ed esatta della realtà. Nello specifico non è da ieri, ma almeno dall’altro ieri, che l’Abruzzo ha cessato di essere impermeabile all’infiltrazione mafiosa. I teorici dell’Abruzzo quale “isola felice”, immune dal fenomeno della presenza della criminalità organizzata o sono ingenui e inefficaci lettori dell’esistente o in malafede, desiderosi di coprire omertà e collusioni. Dobbiamo perciò dire che con l’afflusso di ingenti risorse impiegate per la ricostruzione post-terremoto il fenomeno che si dice di temere, l’infiltrazione delle organizzazioni mafiose, non è un principio, ma una continuazione e, perciò, un aggravamento. Gli indicatori offrono elementi di valutazione alquanto chiari. Le opacità amministrative del passato necessitano un affinamento degli strumenti di rilevazione degli indicatori, ma c’è qualche elemento che potrebbe indurci non all’ottimismo, ma ad una ragionevole fiducia sulle possibilità di respingere gli attentati più gravi alla moralità e alla legalità nella nostra regione. Oggi al governo della Regione c’è un uomo politico, Gianni Chiodi, che può legittimare molte speranze, perché saggio, esperto e personalmente onesto. Combattivo quanto basta, eticamente ben messo, politicamente… Ecco, qui sta il punto. In certi contesti anche l’uomo meglio equipaggiato sul piano personale può essere oggetto di pressioni, più o meno forti, e di condizionamenti, che sono abbastanza frequenti in politica, essendo questa un’arte (spesso un mestiere) che non è possibile praticare da soli.  L’uomo politico opera sempre all’interno di un contesto, di una compagine, di una squadra e sa, Machiavelli glielo ha insegnato, che non può fidarsi degli amici e degli alleati più che dei nemici e degli avversari. Sa che deve avere cento occhi, anche dietro le orecchie, come ammoniva Baltasar Graciàn, il filosofo spagnolo che Gianni Chiodi e il suo mentore Silvio Berlusconi amano tanto. Traducendo il dato in termini più comprensibili, diciamo che  la lotta alla mafia non la si può condurre da soli e che la mafia quando vuole colpire qualcuno comincia con l’isolarlo. Ecco, se gli abruzzesi vogliono aiutare il proprio governatore (che sarà anche commissario per la ricostruzione) a lottare contro la mafia (che già era presente nella nostra regione e lo sta diventando sempre di più, apprestandosi a gestire o a co-gestire il dopo terremoto) devono sapere che non dovranno mai lasciarlo solo e, al contrario, dovranno sostenerlo nella sua battaglia.