Il corrosivo del 6 ottobre 2009

Torno a Teramo da Bassano del Grappa dopo un’assenza di una quarantina di giorni. “La Città” ha trasferito i propri uffici, direzione e redazione, in via Mario Capuani, nel palazzo Giustiniani. Curioso di vedere come si sono sistemati gli amici del giornale nei nuovi locali, entro nel portone e mi avvio su per le scale. E’ una stupenda scalinata a chiocciola, sulla quale sono salito tante volte, quando mi recavo a trovare don Peppe Sardi, che, trasferitosi dal suo precedente studio di via Raniero, continuava qui a ricevere i tanti studenti ai quali cercava di trasmettere il suo arguto sapere di uomo colto in lettere greche e latine. Sento risuonare la sua voce: “Lu Bo’”. Accoglieva tutti così, con lo sguardo ammiccante, impettito nella sua giacca da camera rossa bordeau, sempre più lisa. “Lu Bo’” voleva dire “Boss”. Chiamava tutti “boss” e nessuno riuscì mai a capire perché. Quando non c’era, attaccava alla sua porta chiusa il cartello con la scritta “TORNO SUBITO”, vergata a stampatello con la matita rossa, sempre quello da anni, così come la sua giacca da camera.  La nuova sede de “La Città” si trova proprio di fronte, sullo stesso pianerottolo, nei locali dove per qualche anno, a partire dal 1995, si istallò il partito di Forza Italia, fresco di formazione e desideroso di affermarsi.

           Varco la soglia ma evapora subito il ricordo del senatore Doriano Di Benedetto, dell’ex sindaco di Penna Sant’Andrea, Fabri, e degli altri che gli facevano corona. Nella stanza dei miei ricordi avanzano figure diverse, con una vivacità che non immaginavo possibile dopo tanti anni. L’orologio in questa diversa stanza di ricordi si è spostato ancora indietro, di venti anni, al 1975, alla sera di domenica 8 giugno, quando su un registratore video che si chiamava Ampex, che allora era il meglio della tecnologia UMATIC ed oggi è introvabile (almeno funzionante), vidi e rividi più volte, insieme con alcuni amici, il magnifico goal segnato qualche ora prima da Stefano Chiodi, numero 9 del Teramo, contro il Pisa, dopo aver ubriacato l’esperto stopper Gonfiantini che aveva disputato tante partite in serie A.

            Proprio nei locali dove si è da poco trasferito il quotidiano teramano “La Città”, dopo aver rinnovato il prestigioso abbinamento con “il Resto del Carlino”, c’era negli anni 70 TV Teramo, che contendeva allora a Tele Biella il primato di essere la prima tv privata italiana. Era una tv via cavo e da via Mario Capuani, da questi locali, partivano i cavi che si irraggiavano in direzione dei diversi punti cardinali per raggiungere le case degli abbonati. Ecco, proprio in questo stanza d’ingresso, la signora Mattu, la cognata di Alberto Chiarini, uno dei fondatori della televisione, riceveva i sottoscrittori di abbonamenti. In quest’altra stanza c’erano gli studi e si sistemavano i lettori del telegionale e gli ospiti da intervistare. Adesso c’è la redazione de “la Città”, il cuore pulsante del quotidiano, con i tavoli dei redattori, sui quali campeggiano dei computers che allora non si potevano nemmeno immaginare, perché mancavano ancora anni prima che comparissero i primi avveniristici Zeta 80. Dove c’è la scrivania del direttore Antonio D’Amore, stanza separata dall’attuale redazione da un muro e allora da una finestra a vetri, c’era la regia televisiva, con le telecamere e le macchine, di ingombro e pesantezza incredibili, dietro le quali si affannavano i tecnici, Gustavo Ferraioli, Riccardo Noli, Lelli Mattu. Gli speakers erano Mario Rossi ed Enrico Tancredi, ma spostando ancora più indietro, di qualche mese l’orologio, rivedo tre figure, nitidissime, che mi sorridono, come sapevano sorridere allora, ciascuno votato ad un destino diverso, ma crudele, i fondatori di quella gloriosa e avventurosa televisione via cavo: Alberto Chiarini, Pietro Tancredi e Gustavo Cianciotta. Avevano avuto un’idea, coraggiosa, e si affannavano a portarla avanti, a concretizzarla, tra lo scetticismo generale e l’incredulità della gente, che però capì. I teramani si abbonarono e il loro numero crebbe e le riprese di Alberto, le telecronache di Tiberio e la sagacia tecnica di Pietro ebbero la meglio. Ecco, li rivedo, muoversi con perizia, sforbiciare le carte, sagomare i fondali, dar fondo al proprio bagaglio di entusiasmo. E mi piace constatare il legame, di importanza metaforica rilevante, che c’è tra quella pioneristica avventura televisiva via cavo e questa nuova avventura del quotidiano a cui collaboro, sopravvissuto ad un’altra tempesta in alto mare, che nella nuova sede organizza una nuova traversata in mare aperto. Quel giornalismo televisivo ante litteram e questo giornalismo di carata stampata di oggi hanno qualche cosa in comune ed è bello che il primo abbia scritto le proprie pagine di storia in questi locali di Via Capuani, Palazzo Giustianini, dove il secondo si appresta a scrivere i nuovi capitoli di un libro meraviglioso. Entrambi hanno raccontato e raccontano la storia della nostra città, non con gli stessi strumenti, ma con lo stesso spirito. Con lo stesso orgoglio, quello che deriva dalla consapevolezza di fare qualcosa di unico e di irripetibile. Perché le vicende televisive successive alla stagione della prima TeleTeramo via cavo e quelle giornalistiche successive ai primi timidi tentativi di dare a Teramo un quotidiano indipendente ci hanno mostrato come ciascuna stagione sia irripetibile. Ogni stagione ha con sé le proprie peculiarità, le proprie appartenenze, che si apprezzano poi meglio nel ricordo, dopo il tramonto, quando su ciascuna delle stagioni passate si fa prima sera e poi cala la notte.

            In questi locali dove “La Città” continuerà giorno per giorno a raccontare la nostra vita cittadina aleggiano ancora lo spirito e l’intelligenza di tre teramani indimenticabili, che seppero, in  questi stessi locali, dar vita ad un sogno che avevano avuto il coraggio di sognare. Alberto Chiarini, Pietro Tancredi e Tiberio Cianciotta sono accanto a noi, sono come noi davanti a questi computers, sono con noi davanti a queste pagine. Ci spronano e ci incoraggiano a fare del giornalismo una missione oltre che un mestiere.