Il corrosivo del 21 luglio 2009

La città di Teramo ha alcune particolarità, vere e proprie risorse, che, se opportunamente sfruttate, potrebbero farne un paradiso incantevole, polo di forte attrazione turistica e realtà economicamente attiva. Purtroppo l’indolenza degli abitanti, a forte vocazione impiegatizia e non imprenditoriale non favorisce l’utilizzo di queste risorse e lascia inutilizzata gran parte di autentici giacimenti ambientali e culturali. Si potrebbe fare un elenco lunghissimo di iniziative che potrebbero intraprendersi, simili a quelle che alcuni comuni del nord est (parlo di quelli perché ultimamente li ho frequentati) hanno realizzato in un contesto certamente più povero e meno favorevole. Per non restare nel vago e non potendo qui puntare a definire tale elenco, vorrei soffermarmi ad alcune considerazioni sui nostri lungofiume. Gli alvei del Tordino e del Vezzola costituiscono nel loro insieme uno di questi giacimenti, ricchi, almeno nella potenzialità, quanto quelli minerari. Si è più volte tentato di portarlo alla luce e di valorizzarlo, ma ogni volta quel che sì è tentato non è stato portato a compimento o è stato lasciato nel degrado, con la giustificazione che la lotta contro i vandali è perduta in partenza e che la manutenzione troppo costosa di un minimo di impianti realizzati ne rendeva difficile la conservazione. Così l’idea di parchi fluviali, piste ciclabili, percorsi–turistico-pedonali a contatto con la natura è stata presa, abbandonata, ripresa, più volte e ogni volta si è rimasti con le pive nel sacco e tutto quello che s’era fatto è andato perduto, nell’incuria e nell’abbandono. Pare che il nuovo Sindaco Maurizio Brucchi sia intenzionato a riprendere in mano la questione,con qualche idea che di per sé sarebbe positiva o potrebbe rilevarsi tale. Se ben pensata e meglio realizzata, senza secondi fini. Affidare aree del lungo fiume alla iniziativa di privati, associazioni e cooperative, e comunque a soggetti capaci di intraprendere  e di valorizzare risorse naturali, e capaci al tempo stesso di garantire una salvaguardia e una custodia, oltre che una tutela, non è sbagliata come idea e può risultare addirittura vincente. Si tratta di puntare a rendere fruibili certi spazi, di metterli veramente a disposizione della collettività, per svaghi o per diporto, e affidarsi alla fantasia produttiva di chi può trasformare aree incolte in aree attrezzate e piene di attrazione. Si tratta di individuare delle funzioni che possano dare un senso alla partecipazione e alla frequentazione, alla fruizione globale, sconfiggendo così l’idea peregrina che la città consista soltanto nel centro storico o in una periferia degradata. Si tratta di puntare ad una idea diversa di città, diversa da quella che abbiano finora avuta della nostra città, che è ed stata “città tra due fiumi” solo come riferimento topografico e non come realtà culturale e turistica.  Quando ho accennato alla necessità che certe idee, buone in partenza, non si rivelino pessime nella loro applicazione, mi riferisco al pericolo che si corre nel praticare con i privati, anche con enti e associazioni, consuetudini operative riferibili ad un intento clientelare. Anche l’idea migliore è condannata al fallimento se si punta soltanto ad accontentare questo o quello e a far sì che il singolo privato diventi padrone di uno spazio che gli si vuol affidare, senza assicurarsi in ogni modo che la fruizione del bene collettivo sia collettivo e negli interessi della collettività. Quando Brucchi comincerà a mettere in pratica l’idea che ha in testa per i nostri lungo fiumi, ci accorgeremo subito se l’obiettivo che persegue è quello di una valorizzazione dei parchi fluviali o quello di una pura e semplice spartizione di luoghi.