Il corrosivo del 23 giugno 2009

C’era una volta… un re, direte voi. No, ce n’erano due. Due re. Uno era chietino, l’altro era aquilano, ma tutti e due dicevano di essere re dell’Abruzzo e come tali si comportavano. Il primo si chiamava  Gaspari, il secondo si chiamava Natali. Come tutti i re, avevano dei sudditi, più o meno fedeli, dei cortigiani, dei servi, ma pochi veri amici. Perché i re non hanno amici, o hanno nemici o hanno cortigiani, sudditi e servi. Cosa possono fare due re? Si fanno la guerra. E anche quei due re di cui sto parlando si facevano la guerra, fino a quando uno dei due fu esiliato a Bruxelles e l’altro restò solo. Visse a lungo felice e contento, fino a quando… non andò in pensione. Perché anche i re, a volte, vanno in pensione, che qualche volta si chiama Cascais, qualche volta si chiama Gissi. Qui nella nostra provincia, quella di Teramo, c’era una volta… un re, direte voi. No, ce n’erano due. Due re. Erano tutti e due teramani, o dicevano di esserlo, ma la progenie del primo veniva dalla rocca di Fano Adriano, quella del secondo dal castello di Miano, ma tutti e due dicevano di essere re di Teramo e come tali si comportavano. Anche loro, come tutti i re, avevano dei sudditi, più o meno fedeli, dei cortigiani, dei servi, ma pochi veri amici. Perché, lo ripeto, e questo vale anche per i re di provincia, i re non hanno amici, o hanno nemici o hanno cortigiani, sudditi e servi. Ora che possono fare due re ? Si fanno la guerra. E anche quei due re di provincia si facevano la guerra e i loro seguaci abbastanza spesso passavano dall’esercito dell’uno a quello dell’altro e viceversa. Fino a quando uno dei due re non andò in pensione. Una pensione dorata, dove si arroccò con tutti i suoi averi, che erano molti, in una splendida solitudine, in un orgoglioso isolamento, pensando solo a sé e cessando di fare la guerra all’altro re, perché sapeva che solo così poteva sopravvivere agli altri e a se stesso. L’altro re, quello la cui progenie veniva dal castello di Miano, rimasto solo, credette di aver vinto la singolar tenzone, ma dovette fronteggiare una terribile calata di barbari che misero a ferro e fuoco il suo regno, facendogli correre il serio pericolo di essere detronizzato. Per evitare che ciò accadesse, il re pensò di abdicare e di passare la titolarità del regno a suo figlio, a cui riuscì, più di quanto avrebbe potuto fare lui, di assumere le nuove insegne e le nuove bandiere, al motto di “tutto cambi affinché non cambi nulla”. E anche il suo successore, come tutti i re, ebbe sudditi, più o meno fedeli, cortigiani e servi, ma non amici. Perché, lo ripeto per la terza volta, i re o hanno nemici o hanno sudditi e servi. Dopo una grande vittoria, conseguita anche grazie al fatto che l’esercito nemico aveva affidato il comando ad un generale dal quale un tempo era stato combattuto finendo, di fatto, con il fuggire senza combattere, il re, seguendo i consigli di suo padre, che era stato un grande re ed ora se ne stava al sicuro protetto dai suoi scudieri nel turrito castello di Forte Baiano, fece in modo di rendere ancora più netta la propria vittoria. Avendo conquistato con le armi la roccaforte di Teramo, senza nemmeno consultare gli alleati, chiamò a raccolta nel castello di suo padre tutti i sudditi, i cortigiani e i servi e distribuì cariche, incarichi e prebende, senza che nessuno, compresi i suoi alleati, osasse dare il minimo segnale di protesta. E fu così che proprio nel castello di Forte Baiano furono scelti e nominati assessori, assessorini, presidenti di assemblee pubbliche, di enti e di consorzi, E tutti vissero felici e contenti…compresi coloro che avevano combattuto il re e il padre del re e il padre del padre del re, per esprimergli la loro gratitudine per non essere stati completamente soppressi dopo la sconfitta. La favola è finita, è stretta la via; ora dite la vostra, ché io ho detto la mia.