Il corrosivo del 10 giugno 2009

Convinto come sono della grande forza rappresentativa della metafora, me ne vengono in mente a decine, tratte dal campo della letteratura  e da quello della filosofia, per descrivere il “cupio dissolvi” che sembra essersi impadronito del centrosinistra teramano in queste ultime elezioni amministrative. Alcune metafore cercano di imporsi alle altre, come quella di Totò che raccontava di uno sventurato, che, preso ripetutamente a schiaffi da uno sconosciuto che lo chiamava Pasquale, se la rideva e sghignazzava sempre più divertito ad ogni schiaffo e a chi gli chiese come mai li accettasse senza protestare, rispose, altrettanto divertito: “Che me ne importa a me? Io non mi chiamo Pasquale”. Sì, sembra proprio una metafora adatta. Il centrosinistra teramano ha continuato a prendere schiaffi dall’elettorato e dal centrodestra e, avendo candidato Albi, uomo di destra, a sindaco di Teramo ora sembra voler dire che non gli importa di aver perso, tanto ha perso Albi. Però, poi. mi dico che la metafora più indicata per descrivere la rovinosa caduta del centrosinistra  teramano è quella di un personaggio di una commedia del grande Terenzio, intitolata “Heautontimorumenos”, cioè “Il punitor di se stesso”. In effetti il centrosinistra impersonato da Ginoble e Di Luca sembra proprio aver voluto punirsi,, autoflagellarsi e mettersi nella condizione di subire ogni tipo di smacco e di sconfitta. Peggiori scelte non potevano essere fatte. Quella che Befacchia ha definito la mossa del cavallo, cioè la candidatura di Albi, si è confermata, secondo quanto era stato previsto da molti, prodromo di una débacle che ha portato con sé non solo un distacco abissale tra Brucchi e Albi, ma la sconfitta di D’Agostino, che ne è stata favorita di molto se non causata. Il fatto è che la candidatura di Albi e il matrimonio con un personaggio del Jurassick Parck democristiano come Lino Silvino hanno tolto pressoché ogni motivo all’elettore di centrosinistra per andare a votare  e votare per lo schieramento di riferimento ideologico-politico. La scelta dei candidati nei collegi provinciali è stata catastrofica, tanto da far sospettare che si sia voluto perdere di proposito. Ad essere proprio buoni, si può dire che la strategia del centrosinistra teramano è stata incomprensibile, ma ci sono buone ragioni per ritenere che essa sia stata volutamente masochistica, che si sia voluto rimuovere ogni ostacolo sul percorso che il centro-destra doveva compiere per fare l’emplein. Qualcuno dice che dentro il centro-sinistra teramano ci sarà la resa dei conti e che verranno chieste le dimissioni di Ginoble e Di Luca. Io non lo credo. Da quelle parti non c’è più ormai nemmeno la forza per reagire e quanto a faccia tosta il duo che ha portato allo sbaraglio la sinistra teramana ne ha da vendere. Sul centrodestra c’è da dire che è stato favorito dal “vento che tira”, come si dice con una espressione non troppo felice, e agli errori clamorosi degli avversari, inesistenti, e che ora è chiamato a misurarsi davvero con i problemi, che non sono pochi. Ma il filotto “comune, provincia e regione” presenta i suoi vantaggi e, per quanto riguarda una eventuale conferma elettorale alla scadenza del mandato amministrativo, sarà davvero difficile, forse impossibile, fare gli stessi errori che ha commesso la sinistra. A Befacchia, che si vantava di essere lo stratega della candidatura di Albi, mi rivolgo con un’espressione latina, di cui lui, che sa il “latinorum”, può cogliere tutte le valenze: “Parce sepultis!”