Il corrosivo del 2 giugno

Siamo entrati nell’ultima settimana della campagna elettorale e il vizio antico dell’esibizione non solo si rivela ancora più radicato, ma ha proliferato. Dai manifesti ci sorridono improbabili candidati, ciascuno accompagnato dal suo slogan. Ognuno di essi ci invita a riflettere su una frase, un motto, poche parole nelle quali il candidato ha sintetizzato tutti i numerosi motivi per i quali meriterebbe il nostro voto. C’è chi ci invita ad ammirare la sua coerenza (che sarebbe gran cosa in un momento in cui nei politici sembra una merce che scarseggia), c’è chi ci invita,votandolo, ad andare al passo con i tempi, c’è chi ci invita a considerare la sua esperienza, grande e consumata, c’è chi ci invita a rendere omaggio alla sua bellezza. E in questo sono soprattutto le candidate donne che danno il meglio di sé, presentandosi nelle foto elettorali con una ventina di anni di meno. Sottobanco ci si scambiano gli ultimi sondaggi, che danno in testa quello o quello, si comincia a parlare di ballottaggi, di forchette e di quant’altro la terminologia tardo-televisiva ci ha ultimamente insegnato. Si alternano qua e là, nei quartieri, candidati e sostenitori di candidati, mostrando grande capacità di ascolto, poca capacità propositiva, quasi nessuna capacità di affrontare davvero i problemi più urgenti della città. I discorsi politico-amministrativi sono diventati una indigeribile melassa, in cui vari e contrastanti ingredienti cercano di amalgamarsi senza riuscirci. Un’analisi seria delle problematiche cittadine, se mai ci sarà, è rimandata a dopo le elezioni, quando i giochi saranno stati fatti. Per adesso tutti sperano di vincere e di essere eletti, le illusioni sono dure a cadere, ma cadranno veramente come le foglie in autunno. E, quando sarà il momento di pagare le spese tipografiche per delle insensate campagne pubblicitarie, ci saranno il rammarico e la tristezza. Allora tutti i “trombati” alle elezioni tireranno indietro i loro sogni di gloria, come fanno i marinai con i loro remi al termine di una battuta di pesca particolarmente infruttuosa. E saranno tutti lì a cantare la stessa canzone, a dire che gli elettori non hanno capito, non hanno apprezzato, non hanno saputo vedere dov’era il merito e dove il demerito. Tra i pochi eletti (ed elette, certamente di numero inferiore) comincerà la lotta, altrettanto sorda e cieca, per osare l’inosabile e chiedere di avere l’inottenibile, perché ciascuno crederà di aver diritto di fare l’assessore o di avere questo o quell’incarico. Si scorderanno i sostenitori, gli amici, i parenti e perfino i nemici e ciascuno penserà solo a se stesso, per dimostrare di aver saputo scegliere e di aver ben meritato quel che ci si prepara a chiedere e ad ottenere. E, se non lo otterranno, guarderanno intorno, per scrutare se c’è a portata di mano un altro partito, un altro schieramento nel quale passare per poter avere di più, seguendo lo stesso comportamento che tengono le zecche quando, avendo già bevuto a sazietà il sangue dell’animale sul quale si sono istallati, si preparano a passare a volo su un altro, sulla cui pelle issarsi sperando di ottenerne più succulenta gratificazione. Ricordiamoci che dopo le elezioni avranno vinto tutti, anche quelli che hanno perso, perché a nessuno fa piacere ammettere la sconfitta; ricordiamoci che quelli che avranno vinto diranno di avere stravinto e di avere il diritto di fare tutte le scelte che desidereranno fare, anche in difformità con le promesse fatte e con gli impegni presi, perché in politica mutare opinione è un’arte, oltre che una necessità. E così vivranno tutti, felici e contenti, anche gli elettori ingannati.