Il corrosivo del 19 maggio 2009

Sono seduto davanti alla scrivania del Commendatore da una mezzora. Stiamo parlando di questo e di quello, come facciamo solitamente quando, per una qualche ragione, vado a trovarlo. M accorgo che si compiace di soffermarsi a parlare con me. Esibisce la sua cultura acquisita qua e là, molto superficialmente, dove il suo status gli ha consentito di farlo. Riscatta, nel corso del colloquio con me, qualche senso di frustrazione per un corso degli studi non certamente regolare né luminoso. Cita frasi e autori, per lo più senza troppa conformità ai contesti, per mostrare di essere all’altezza. Poi comincia, come fa sempre, la serie delle sue lamentazioni. Ce l’ha con la gente, con la società, con il contesto sociale che non lo capisce e non gli mostra gratitudine per quello che fa. Eppure lui ce la mette tutta per farsi ben volere, dice. Investe e crea posti di lavoro. Perché la politica, e soprattutto la gente, non gli mostra gratitudine? Lo aspetto al varco. So quello che farà. Lo fa sempre. Prende ad interrogarmi, a farmi domande con sorriso e sguardo pieni di ammiccamento. Quanto guadagno? Una miseria, glielo dico. Lui sorride compiaciuto. Poi mi dice quanto guadagna lui. Mostro stupore e ammirazione. Quante case posseggo? Una, in comproprietà con mia moglie. Glielo dico. Lui mi dice quante ne possiede lui, case, ville, piscine, parchi… Mostro stupore e meraviglia, anche se me lo ha detto già tane volte, quasi ogni volta che ci siamo incontrati. Mi chiede quanto ho sul mio conto bancario. Un’altra miseria. Glielo dico, Lui sorride e mi dice quanto tiene sui suoi conti. Poi mi chiede che automobile posseggo. Un’utilitaria… e glielo dico. Lui li dice quante e quali automobili possiede lui: una Porsche, una Ferrari, una vettura d’epoca. Insomma mi fa un bell’elenco. E io torno a mostrare stupore, a cui lui risponde con il compiacimento del mio stupore. Poi aggrotta le ciglia, mi chiede quanto denaro ho nel mio portafoglio. So dove vuole andare a parare, lo ha fatto altre volte, anche se pare essersene dimenticato. Prendo il mio portafoglio e glielo mostro: ci tengo dentro qualche decina di euro. Lui non mi mostra il suo, ma mi dice che è ben gonfio, di ogni tipo di carta moneta. Aspetto la domanda cruciale, a cui sta pensando da molto tempo, da quando ha iniziato a fare le sue domande: posseggo la Carta SI. Certo, che la possiedo. Diamine! Chi a giorno d’oggi non possiede una Carta SI?  Mi preparo a mostrare uno stupore ancora più grande alla sua rivelazione, fattami altre volte, di fronte alla quale ho già mostrato altre volte stupore. Lui la carta sì non ce l’ha. Non gliel’hanno data. Ecco l’affondo: il confronto. A me, che guadagno così poco, che ho un portafoglio così sgonfio, che possiedo una sola casa in comproprietà con mia moglie e una sola utilitaria hanno dato la Carta SU. A lui, che guadagna tantissimo, che ha un portafoglio rigonfio, che possiede un numero imprecisato di case, ville e piscine, che ha in garage una Porsche, una Ferrari e alcune vetture d’epoca, non hanno dato la Carta SI. Ma perché? Per qualche piccolo, piccolo, piccolo precedente… di pochissimo conto. Sciocchezze. Mi mostra le sue carte di credito, internazionali, le più prestigiose. Delle più note compagnie al mondo… con quelle può prelevare denaro in tutti i continenti, senza problemi… ma la carta sì non ce l’ha. Mi fa sentire l’obbligo morale non solo di stupirmi… ma di esibire un profondo sentimento di turbamento, di mostrarmi sinceramente dispiaciuto, di esprimere con l’atteggiamento e con le parole un grido contro l’ingiustizia perpetrata. Non è giusto che io, povero, misero mortale, abbia la carta sì e lui no. Ora tocca a me. Tocca a me fare una domanda. Una sola: quanto ha dichiarato lui sulla sua denuncia dei redditi? So già che cosa mi risponderà, e senza imbarazzo. Mi risponderà che lui la denuncia dei redditi non la presenta. Non sono obbligato a chiedergli perché. La risposta già la so e lui sa che io la so. Non la presenta perché lui al fisco risulta… nullatenente.