Il corrosivo del 12 maggio 2009

E’ un vero e proprio esercito. Sono più di 1800. Non erano proprio 1000, ma qualcuno di meno, i garibaldini in camicia rossa che sbarcarono in Sicilia con l’obiettivo di cominciare a fare L’Italia. Erano poco meno di mille, male armati e non bene equipaggiati, e affidavano al vento e alla sorte le loro speranze. Sono più di 1800 i candidati teramani che nelle prossime elezioni sbarcano nelle loro liste al seguito di sedicenti capi con l’obiettivo di… Quale obiettivo? Mi pongo la domanda, decisiva per le sorti della nazione. Qual è l’obiettivo di questo esercito di candidati? Me ne rendo conto: non hanno un unico obiettivo. Dico meglio: non hanno tutti un identico obiettivo. Dico ancora meglio: ognuno avrà certamente un obiettivo diverso da quello degli altri. Qualcuno si candida perché, come diceva Tenco in una sua canzone, spiegando un innamoramento, non ha niente di meglio da fare. Qualcun altro si candida perché cerca e insegue una visibilità che non ha mai avuto, sperando di dare così un senso alla propria esistenza, fin qui oscura e grigia, anonima e senza luci. Qualcun altro si candida nella speranza di potersi accaparrare anche lui qualche briciola che cade dalle tavole della politica, dove però pantagruelici mangiatori si sono già sistemati decisi a non far cadere nemmeno una briciola. Questo esercito di candidati che muove all’assalto delle istituzioni, puntando a diventare componenti effettivi delle loro assemblee elettive, mi rassomiglia, per la verità, più che ad un manipolo di prodi, a mo’ di garibaldini senza camicia rossa, ma variopinta e multicolore, ad un’invasione di cavallette. Molte cadranno per strada, prima di giungere alla meta, decimate dall’indifferenza degli elettori. Prenderanno pochi voti, così pochi da potersi contare sulle dita di due mani e forse di una; molte cadranno un po’ più in là, a meta avvistata, a portata di mano, ed esaleranno l’ultimo respiro da candidati tendendo la mano in avanti in cerca dell’ultimo voto di preferenza. Altre cavallette arriveranno a destinazione e canteranno vittoria, cominciando a pretendere un posto da assessore o qualche altrae nomina pubblica ben remunerata. Di fronte a quest’orda di vandali che muovono in armi, chi più chi meno, verso terre occupate da popolazioni (gli elettori) ritenute facili da saccheggiare, c’è chi ha il coraggio di parlare di democrazia, sia pure rappresentativa? C’è chi si ostina ad usare il termine e ad evocare il concetto di un governo della cosa pubblica da parte del popolo? L’immagine che mi viene in mente è, invece, quella di un’orgia gigantesca, di un’ammucchiata, in cui ognuno vuole lascivamente cacciarsi, alla ricerca di una carnale soddisfazione che rimane indistinta, oltre che indifferente al tipo e al genere di contatto fisico. E’ una carnascialesca rappresentazione di una “partouze” elettorale, nella quale non c‘è alcuna distinzione di sesso, di genere, di idee, di principi, di valori. Però, a pensarci bene, viene un sospetto, che mi fa superare l’immagine dell’ammucchiata a fini auto o etero-erotici o a fini di auto-compiacimento e di ricerca di visibilità. Mi fa sorgere un’altra immagine: quella di un migliaio e più di api che, dopo aver sciamato, si affannano intorno all’ape regina, tenendosi avvinta a lei e cooperando attivamente a tenerla in vita e a consentirle così di covare un giorno le sue uova, E’ del tutto inutile, penso, spiegare ai lettori di questa rubrica, che sono intelligenti, a chi penso nel ruolo di ape-regina.