Il corrosivo del 24 marzo 2009

L’ultimo soffio di vento, un esiziale vento di una primavera che nasce con cattivi auspici, ha spento, per sempre, l’ultima favilla di una fiamma che per molti anni ho contribuito ad alimentare, per evitare che si spegnesse, come invece è avvenuto.  Molti di voi (o forse pochi) avranno presente quel bellissimo film (tratto da un altrettanto bellissimo libro), intitolato “La guerra del fuoco”. Narrava la storia e le peripezie di un gruppo di uomini primitivi, che custodivano come una reliquia autentica, necessaria per la loro sopravvivenza, uno speciale contenitore nel quale ardeva una piccola fiammella, quella del fuoco vivificatore. Uno scossone improvvido faceva cadere in acqua il fuoco, che si spegneva. A quel punto, non sapendo ancora come produrre un nuovo fuoco, la tribù incaricava un manipolo di coraggiosi di andare a procurarsene un altro, magari sottraendolo, predando, ad un’altra tribù che lo conservasse ancora acceso. Quel fuoco che ho personalmente contribuito a tenere acceso si è spento, anzi, è stato spento. A quel fuoco si sono scaldate le idee e le aspirazioni, perfino i sogni, di generazioni di giovani diventati vecchi senza sentir venire meno in sé l’energia e la speranza di vedere ancora ardere quella fiamma. Chi ha abbandonato la casa del padre, ritenendola povera e misera, per andare a chiedere ospitalità, a partire da Fiuggi, in una casa più larga, più ricca e più adorna (ma sempre una casa d’altri), ha pronunciato la propria ultima abiura, ricevendone in cambio un’investitura personale e la promessa di un futuro politico radioso. Si tratta di gente con la quale già da tempo non avvertivo più i sensi di una parentela ancora esistente. Da domani questa parentela è perduta definitivamente. Un partito, anzi, un movimento, eroicamente tenuto in vita da chi ha combattuto per anni il “democristianesimo” e il suo spirito, così come il comunismo e i suoi profeti, confluisce in un partito che si autodefinisce della libertà ed appare invece essere un partito della servitù, dove la gara è a chi si dimostra più servo e più compiacente nei confronti del padrone, per esserne meglio gratificato.  La casa del padre, ora, è diroccata, sono venuti giù i coppi e le travi. Non è solo abbandonata, ma è ridotta in macerie. Non ci abita più nessuno, né il padre né la madre, entrambi rinnegati, né vi albergano quanti avevano nutrito affetti filiali. Sono tutti partiti, emigrati, sono andati in America. Anzi “nella Merica”, dove promettono loro case coi tetti d’oro e tappeti di rossi vermiglio. Lasciate pure spento il focolare di quella vecchia casa dove non abita più nessuno e dove entrano, per le fessure del tetto rovinato e aperto, pioggia, vento e altre intemperie. Chi ci abitava ha preferito rinnegare il proprio passato e la propria identità, assicurando di essere capace di non perderla, anzi, di conservarla,anche nella nuova sistemazione, dove a comandare sono altri, quelli che un giorno erano considerati i nemici da combattere e oggi sono considerati i padroni di cui essere servi. Lasciate che il viandante, osservando quella vecchia casa malmessa e diroccata, quel focolare spento senza più una fiamma che lo riscaldi, pronunci una preghiera, ma senza un accenno di perdono, per chi si è reso autore dell’ultimo tradimento.